Cerca
Logo
Cerca
+

Il contratto delle tute blu decisivo per capire se possiamo crescere

Esplora:

Bruno Villois
  • a
  • a
  • a

La scadenza del contratto collettivo dei metalmeccanici rappresenta uno dei punti fermi per capire come si affronteranno le problematiche che attanagliano sia i sindacati dei lavoratori dipendenti che la Confindustria, quale rappresentante della manifattura. I primi sono alla disperata ricerca di un modo per riguadagnare la centralità esercitata negli anni Ottanta e ora persa. La seconda, con 150mila associati il 95% dei quali però fattura meno di 5 milioni di euro, pur dando lavoro a quasi 5,5 milioni di addetti diretti alle prese con il tema di una produttività che resta più bassa di un punto e mezzo rispetto a quella di francesi e tedeschi, e contemporaneamente di dover stimolare le imprese associate a investire in innovation technology e in formazione per far fronte al radicale cambio di mansioni imposto dall’avvento dell’intelligenza artificiale. Una sfida giocata in un contesto che vede i piccoli, cioè il 95% degli associati, ancora fortemente indebitati, con scarso capitale proprio e una competizione internazionale iper aggressiva e una sfida green troppo accelerata. Un vero compendio di problemi costituito da mattoncini che sommati rischiano di diventare vere e proprie muraglie invalicabili.


I sindacati però sembrano non accorgersi di questo scenario e puntano a preservare lo stato quo, e giocare un ruolo da protagonisti non solo a tutela delle garanzie dei lavoratori, ma anche in tutti quei passaggi che le imprese serie e trasparenti, che restano la grande maggioranza, già adottano in rapporto alle norme in vigore e non di rado le anticipano. Il tema delle relazioni sindacali deve restare al centro delle governance delle imprese, ma per esserlo, ora più che mai in relazione al complesso quadro prima descritto, servirebbero alcuni sostanziali passaggi che dovrebbero essere definiti tra governo, e più in generale politica anche di opposizione, Confindustria e Confcommercio e sigle sindacali dei lavoratori con rappresentanza adeguate.

 

 


Per gli impegni di innovazione e green, servirebbe una politica fiscale accattivante, ovvero crediti di imposta, utilizzabili in ragione della crescita dei risultati industriali, ma anche delle ricadute sulla diminuzione dell’inquinamento; per il sostegno alla crescita dimensionale e patrimoniale delle imprese una burocrazia al tappeto e una detraibilità fiscale, almeno al 50%, di quanto conferito in capitale di rischio. Parimenti il sindacato dovrebbe stimolare i propri iscritti sia all’aggiornamento professionale, che ad una produttività migliorata, almeno in quelle imprese che investono per facilitarne l’obiettivo attraverso la modernizzazione delle tecnologie produttive. Una maggior produttività consentirebbe aumenti salariali che determinerebbero una crescita del reddito medio in grado di dare una spinta ai consumi e quindi alle produzioni. Una prospettiva inevitabile per affrontare il rompicapo dei quasi 3 trilioni di euro di debito pubblico, il cui unico antidoto è rappresentato dalla crescita del Pil in una misura che sia almeno, e in maniera duratura, di punto e mezzo o meglio ancora di 2 punti percentuali l’anno.

 

 

Dai blog