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Macron e Scholz ignorano il voto e pure il flop economico

Sandro Iacometti
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Si discute molto in questi giorni sulla scelta di Giorgia Meloni di non accomodarsi come se niente fosse al tavolo già apparecchiato da Emmanuel Macron e Olaf Scholz sulle nomine europee. C’è chi sostiene, cavalcando una tesi un po’ ardita e un po’ di parte, che accodarsi sarebbe stata la scelta migliore, nel tentativo di prendersi le briciole lasciate indietro dai leader di Francia e Germania. E c’è chi ritiene che la mossa del premier italiano consegni il Paese all’isolamento e all’irrilevanza. Sul fronte opposto c’è invece chi, legittimamente e non senza ragioni, fa notare che il percorso intrapreso dei “capibastone” dell’Europa sia non solo fallimentare e scorretta, ma in assoluto spregio del voto popolare, che sia in Francia sia in Germania ha decretato una bocciatura degli attuali capi, confermando invece la leadership della Meloni e la stabilità della maggioranza che guida il governo italiano.

C’è qualcosa di più rispetto a questo ragionamento che ancora non è stato detto. L’Italia, infatti, non è soltanto l’unico grande Paese fondatore il cui governo è uscito vincitore dalle urne, ma è anche uno dei principali membri della Ue con le migliori performance economiche. I dati parlano abbastanza chiaro. Solo qualche giorno fa la Corte dei Conti, che pure non ha riservato critiche e rimbrotti al governo, ha certificato che «alla fine del 2023 e dopo una crescita annuale dello 0,9%, in Italia il Pil, posto uguale a 100 il valore del 2019, risultava pari a 103,5, contro 102,5 in Spagna, 101,5 in Francia e 100,7 in Germania». In altre parole, come spesso rivendicato dal governo, tra gli sberleffi dell’opposizione, il nostro Paese è riuscito a ripartire dopo la pandemia molto più rapidamente degli altri grandi Stati membri della Ue.

 

DEBITO

A questo punto già sentiamo i Cinquestelle prendersi il merito di una corsa favorita dal Superbonus 110%. Il che però, ammesso che sia vero (e non lo è, perché l’impatto dell’agevolazione sulla crescita è molto inferiore a quello che raccontano i grillini), avrebbe dovuto determinare una cattivissima performance sui conti pubblici, a causa dell’enorme peso degli sconti sul debito. E invece il direttore di Mf, Roberto Sommella, si è preso la briga di fare due conti. Ebbene, negli ultimi quattro anni «i primi tre paesi per aumento del debito sono, nell'ordine, la Francia (che ha fatto registrare un aumento dell'indebitamento pari a 715 miliardi, per un rialzo del 29%), seguita dalla Germania (aumento del debito di 553 miliardi, per un rialzo del 26%) e dall'Italia in terza posizione (più 496 miliardi, +20%). I numeri parlano da soli, ma Sommella aggiunge anche una riflessione. «La cosa», spiega, «deve far riflettere: Parigi balla sull’orlo del baratro del debito pubblico ma mantiene sempre un rating ben superiore all’Italia e fa e disfa a suo piacimento nomine, politiche e rapporti comunitari, mentre la Germania che ha imposto il ritorno del rigore in tutta l’Unione, ha i suoi problemi di bilancio, rimarcati anche dalla Corte Costituzionale tedesca e un’economia che da tempo batte in testa. Eppure la pecora nera siamo sempre noi italiani, a dispetto dei numeri appena ricordati. Anche nei vertici europei».

 

BORSE

Ma non è finita. Perché l’anticamera che ci è stata riservata nella scelta della nuova governance Europa è anche in palese contrasto con la performance dei mercati finanziari. Già, perché anche qui l’Italia ha ottenuti risultati invidiabili. Nonostante l’altalena degli ultimi giorni causata dalla bufera francese e dallo scioglimento delle camere deciso da Macron dopo la sconfitta elettorale, la Borsa di Milano nei primi sei mesi dell’anno è cresciuta del 9,23%. Per trovare performance migliori bisogna uscire dal Vecchio continente. Wall Street è infatti cresciuta del 18,9% e Tokyo del 18,2%.

Ma in Europa non ci sono competitor al nostro livello. Francoforte, una delle migliori, ha registrato un incremento dell’8,85% mentre Madrid si è fermata all’8,33%. Ancora peggio ha fatto l’Euro Stoxx, che racchiude i migliori titoli dell’Eurozona, salito solo del 5,71%. Fuori classifica Parigi, che chiude i sei mesi in flessione dello 0,85%.

In sostanza, oltre ad essersi fatti beffe della volontà degli elettori, che gli ha detto chiaramente di andare a casa, Macron e Scholz hanno anche messo sotto il tappeto le loro difficoltà economiche, pensando che dopo aver fallito nei rispettivi Paesi abbiano comunque il diritto di decidere dove dovrà andare l’Unione europea.

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