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La Germania preme per firmare subito l'accordo-trappola con il Mercosur

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Attilio Barbieri
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Dopo l’accelerazione inattesa che ha portato all’approvazione della legge sul Ripristino della natura, a Bruxelles si prepara una nuova fregatura per l’Italia. Il via libera quasi senza condizioni all’accordo di libero scambio fra Ue e Mercosur, il mercato comune dell’America meridionale composto da Argentina, Brasile Uruguay e Paraguay. La pratica era ferma all’intesa di principio raggiunta nel 2019, dopo vent’anni di negoziati, che ha originato dapprima una proposta di testo elaborata dalla Commissione Ue nel marzo 2023 cui è seguita, a settembre dello scorso anno, una controproposta del Mercosur. Le parti, nonostante un ulteriore round negoziale non hanno trovato a dicembre 2023 l’intesa perla forte resistenza dell’ex presidente argentino Alberto Ángel Fernández e del presidente francese Macron. Ieri la svolta: al vertice fra il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente argentino, Javier Gerardo Milei, i due hanno concordato che «le trattative per l’accordo di libero scambio fra gli Stati europei e i Paesi Mercosur dovrebbero essere chiuse velocemente». I due leader hanno parlato anche di un possibile ingresso dell’Argentina nell'Ocse. La Germania «sostiene questa richiesta», si legge nella nota finale.


Anche il governo di Giorgia Meloni era molto critico sul trattato di libero scambio perché l’intesa farebbe cadere i dazi sul 92% delle importazioni in arrivo dal Mercosur nella Ue capaci finora di rallentare l’importazione di derrate alimentari che arriverebbero in Europa a prezzi sotto i nostri costi di produzione. Secondo un report pubblicato di recente dal Centro studi Divulga di Bologna, guidato dal professor Felice Adinolfi, sono numerose le criticità contenute nell’accordo che Milei e Scholz si augurano di firmare presto. «Le relazioni commerciali tra Ue e Mercosur», si legge nello studio, «si delineano come abbastanza asimmetriche. L’export europeo verso quell’area è focalizzato prevalentemente sulla vendita di beni industriali come macchinari e prodotti dell’industria chimico-farmaceutica», mentre «gli arrivi dai Paesi sudamericani sono caratterizzati in prevalenza da materie prime agricole ed energetiche». La bilancia commerciale dei prodotti agroalimentari è in deficit per la Ue di 30 miliardi.

 

 


Il trattato di libero scambio con il Mercosur ha rappresentato una delle componenti fondamentali del Green Deal con le produzioni europee destinate a calare, per la stretta su agrofarmaci e fertilizzanti, bilanciate però da una crescita dell’import agroalimentare dal Sudamerica a dazio zero. Cereali, semi oleaginosi, mangimi per la zootecnia e carne sono le categorie merceologiche principali su cui è previsto l’aumento delle importazioni. Peccato però che, assieme a mais, soia e carne bovina, importeremmo pure i contenuti immateriali indesiderati: deforestazione, pesticidi, diritti dei lavoratori della filiera calpestati sistematicamente. «Nell’area Mercosur», scrivono i ricercatori di Divulga nello studio, «l’aumento delle superfici coltivate a soia, mais, canna da zucchero ha portato a un importante aumento nell’uso di pesticidi.


Nel solo Brasile il volume dei pesticidi venduti è quadruplicato dal 2000 al 2020». Ma non è soltanto una questione di quantità. Preoccupano ancora di più i principi attivi impiegati. «Il 27% dei prodotti in uso in Brasile nel 2020 erano vietati nella Ue», si legge nel report di Divulga, «si tratta ad esempio di erbicidi come l’Amicarbazone, mai autorizzato dall’Unione europea, fungicidi come il Clorotalonil (vietato nella Ue dal 2019) e insetticidi come il Novaluron (vietato nel 2012)». Per non parlare della tracciabilità delle carni. L’unico Paese ad aver sviluppato un sistema simile al nostro per i bovini è l’Uruguay. Negli altri tre Paesi del Mercosur è applicato tuttora su base volontaria. Se non c’è tracciabilità va bene lo stesso Per non parlare poi della protezione dei nostri campioni di made in Italy a tavola. La posizione del Mercosur sulle indicazioni geografiche, vale a dire i cibi a Denominazione d’origine protetta e a Indicazione geografica, è simile a quella degli Usa: nessun riconoscimento di Dop e Igp, per cui ad esempio il Parmigiano Reggiano, nei quattro mercati sudamericani, dovrebbe convivere con i suoi tarocchi, il Reggianito argentino e il Parmesão brasiliano. Ci sarebbe una circolazione parallela di Dop e doppioni locali, come già accade ad esempio in Canada.

 

 

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