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Transizione, servono 215mila miliardi ma nessun paese può sostenerne i costi

Attilio Barbieri
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La transizione green rischia di far esplodere il debito pubblico di tutti i Paesi, non soltanto in Europa, e deprimere il Pil, arrestando la crescita. Questo si intuiva, però. Di nuovo c’è uno studio commissionato all’Institute of International Finance dalla Pictet Asset Management, una società di gestione del risparmio svizzera che ha in portafoglio investimenti per circa 230 miliardi di dollari. Lo studio, pubblicato ieri, scoperchia letteralmente il vaso di Pandora della transizione verso l’obiettivo “emissioni zero” nel 2050. Con la tappa intermedia fissata per il 2030 che è diventata un passaggio fondamentale nel Green Deal imposto all’Europa dall’asse rosso-verde guidato dall’olandese Frans Timmermans.

A livello mondiale, si legge nell’analisi, sia i Paesi industrializzati sia quelli emergenti sono usciti dall’emergenza Covid con un debito pubblico gonfiato a quota 88mila miliardi di dollari. Ben 17mila miliardi in più rispetto al 2019, ultimo anno prima che scoppiasse la pandemia. Ma questo è soltanto il punto di partenza. Già, perché secondo la simulazione sviluppata dall’Institute of International Finance- istituzione creata da 38 banche dei principali Paesi industrializzati nel 1983 in risposta alla crisi del debito internazionale dei primi anni ’80 - entro il 2030 si aggiungeranno altri 50mila miliardi di dollari per finanziare la transizione ecologica. Supponendo che gli Stati coprano al 50% i costi da sostenere. Cifra che salirà a 215mila miliardi di dollari entro il 2050.

«La maggior parte di questo aumento deriverebbe dalla decarbonizzazione dei settori della produzione di energia e dei trasporti», si legge nel rapporto, vale a dire le voci principali nei programmi di transizione in corso nel mondo. Ma già ora per sostenere i costi dei vari Green Deal in atto, «molti governi stanno stanziando una quota crescente delle entrate fiscali», scrivono gli economisti dell’ Institute of International Finance, «per far fronte alle spese per interessi» e «un aumento dei livelli di debito pubblico legato alle azioni per il clima potrebbe aumentare ulteriormente l’onere al servizio del debito rispetto a livelli già elevati, aumentando il rischio di una reazione politica contro la transizione alle emissioni zero».

Ma se i costi a carico delle casse pubbliche rischiano di non essere sostenibili, non andrà meglio per quelli destinati a gravare sulle imprese. Lo studio parla esplicitamente di carbon tax e aumento dei certificati verdi con cui le aziende saranno obbligate a compensare le emissioni. Costi che si scaricherebbero inevitabilmente sui consumatori finali, con un aumento generalizzato di beni e servizi. E l’insieme di questi oneri diretti e indiretti, secondo gli autori dello studio, rischia di provocare una mancata crescita del Pil compresa fra l’1 e il 4 per cento da qui al 2030.

«Con questo studio non vogliamo in alcun modo sminuire l’importanza dell’impegno assunto su scala mondiale nei confronti dell’obiettivo net-zero, che è fondamentale per garantire il futuro benessere del pianeta», puntualizza Evgenia Molotova, senior investment manager alla Pictet Asset Management. «Si tratta però di un percorso complesso e caratterizzato da sfide impegnative, soprattutto nella fase iniziale della transizione energetica», aggiunge, «che potrebbero avere impatti rilevanti sull’economia e sui mercati finanziari.

Trascurare questi rischi potrebbe rivelarsi oneroso per tutti. È essenziale assumere un approccio più pragmatico, consapevoli che per costruire un’economia sostenibile sarà inevitabile continuare a investire in molti dei settori attualmente a generazione intensiva di carbonio». Resta da capire, soprattutto, se le istituzioni finanziarie internazionali lasceranno agli Stati la facoltà di produrre altri 50mila miliardi di debito da qui al 2030. Né è pensabile di poter scaricare integralmente questi costi aggiuntivi sulle tasche dei privati e dei consumatori, alle prese già oggi con la difficoltà di far tornare dei budget familiari sempre più tendenti al rosso. Per non parlare degli oneri a carico delle attività produttive, destinati a tradursi in aumenti netti dei prodotti finiti.

Per capire cosa ci aspetti basta elencare alcune delle fregature più solenni contenute nel Green Deal che la sinistra ha cercato di imporre all’Europa: dalle “case green” alla legge sul Ripristino della natura. Fino all’abolizione dei motori endotermici sui veicoli nuovi dal 2035 e alla riforma degli imballaggi.
Voci che potrebbero rappresentare soltanto l’aperitivo della transizione.

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