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Auto elettriche, si vendono più Ferrari che 500 green

Michele Zaccardi
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Niente da fare: l’elettrico non tira. Per rendersene conto basta guardare i dati di vendita di due emblemi del Made in Italy: la Ferrari e la Fiat 500.

Numeri che, dopo la sorpresa iniziale, fanno capire quanto la transizione elettrica imposta da Bruxelles si scontri con la realtà. E cioè con i gusti e le disponibilità economiche dei consumatori. Perché, come riporta Milano Finanza, mentre nel 2023 Ferrari ha venduto 13.663 esemplari per quasi 6 miliardi di euro di ricavi, ovvero 1.110 modelli al mese (1.138 per la precisione), Stellantis ad aprile ha consegnato in Italia soltanto cento 500 elettriche.

Cifre che testimoniano quanto sia tonica la domanda per un marchio di lusso come quello del Cavallino Rampante - il cui modello meno caro costa 260mila euro, dieci volte tanto la 500 – e quanto invece sia asfittica quella per l’automobile che fece la fortuna di casa Agnelli negli anni del boom economico. E forse è anche per questo che Exor, la cassaforte di famiglia guidata da John Elkann, ha scelto di lasciare il timone ai francesi di Psa in Stellantis. Exor detiene infatti il 26,4% di Ferrari, quota che quest’anno frutterà un dividendo intorno ai 108 milioni di euro.

Non solo. Perché la casa di Maranello macina utili e vendite. Il titolo è cresciuto del 193% negli ultimi cinque anni e del 38% nel solo 2024. Il punto insomma è il seguente: posto che a scoraggiare gli acquisti di auto elettriche è soprattutto il prezzo, come invertire questa tendenza? Come ha spiegato il numero uno di Renault, l’italiano Luca de Meo, l’Europa deve smettere di produrre regolamenti e fare invece come Usa e Cina che incentivano in modo massiccio le proprie industrie (soprattutto quella automobilistica).

Anche qui basta qualche cifra per rendersi conto della distanza siderale che separa il Vecchio Continente dalle altre due grandi potenze. La Cina, ormai da anni, investe pesantemente in tutti i settori coinvolti nel ciclo produttivo dell’auto elettrica, dalla lavorazione delle materie prime (come litio, cobalto e le terre rare) alla produzione di batterie. Pechino inoltre sussidia i costruttori locali e distribuisce importanti incentivi ai consumatori per gli acquisti.

Una strategia che sta dando i suoi frutti. Il Paese ha un vantaggio competitivo ormai incontrastato nell’intera catena produttiva dei veicoli elettrici. Qualche numero è sufficiente per capire lo strapotere cinese nel settore. La Cina controlla il 75% della capacità produttiva mondiale di batterie, una quota compresa tra l’80 e il 90% della raffinazione delle materie prime e il 50% delle miniere di metalli rari.

Anche gli Stati Uniti si sono mossi in modo simile. Basti pensare al programma Inflation Reduction Act, con cui l’amministrazione americana ha stanziato 387 miliardi di dollari per incoraggiare investimenti nelle tecnologie green, compresi i veicoli elettrici, a patto che la produzione avvenga sul territorio nazionale con componenti a loro volta realizzati negli Usa. Insomma, questo complesso di elementi spiega la ristrettezza del mercato italiano delle auto elettriche (appena il 3% del totale) e quindi il basso numero di vendite, 500 compresa. Al tempo stesso, però, sono condizioni che non intaccano il successo di Ferrari, che è slegata dalle normative europee di riduzione delle emissioni.

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