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Casa, tasse per 51 milioni l'anno sul mattone: italiani spremuti

Sandro Iacometti
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Facciamo un po’ di conti. Ieri abbiamo visto che il sistema fiscale italiano è formato da alcuni grandi pilastri e da una miriade di microtasse che producono più adempimenti, scocciature e perdite di tempo di quanti euro riescano a portare nelle casse dell’erario. Su quest’ultime, per una maggioranza che è stata eletta per semplificare, tagliare e ridurre la pressione fiscale, la direzione è chiara.
Radere al suolo senza pietà balzelli assurdi come le imposte per raccogliere funghi o per il rumore provocato dagli aerei.

Ma torniamo ai pilastri. Il primo, ovviamente, è l’Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche, che nel 2022 valeva circa 188 miliardi di gettito. Il secondo è l’Iva, che ammonta a 138 miliardi di euro. A seguire ci sono l’Ires (44miliardi) e l’Irap (27 miliardi). E si arriva così alla quinta fonte di entrata per l’erario, tristemente nota come Imposta municipale unica, Imu per gli amici, che ogni anno toglie dalle tasche degli italiani circa 22 miliardi.

 

 

 


PATRIMONIALE

La differenza tra quest’ultima gabella e le precedenti è che qui non si tassa un guadagno, ma semplicemente il possesso di un bene. Si paga un tributo per il semplice motivo di aver ricevuto in eredità un immobile o di averlo comprato con il frutto del proprio lavoro (in entrambi i casi sulle somme necessarie ad effettuare l’acquisto sono già state versate delle tasse), magari chiedendo un prestito ad una banca e pagando salati interessi. Insomma, è la classica patrimoniale che tanto piace a sinistra, sindacati e organismi internazionali, che nasce dalla vecchia idea veterocomunista che la proprietà sia un furto e che chiunque abbia qualcosa in più degli altri non si meriti di essere applaudito per il suo impegno e il suo successo, ma spennato per il suo ingiusto privilegio. Ma non divaghiamo.

L’Imu, con i suoi 22 miliardi sfilati ai proprietari, è il quinto balzello in ordine di grandezza, su un gettito tributario totale di circa 570 miliardi. Il problema è che l’imposta municipale non è l’unica tassa che colpisce il mattone. La martellata complessiva che ogni anno colpisce chi possiede un’abitazione, chi l’acquista, chi la vende e chi l’affitta è ben più violenta. Secondo i calcoli di Confedilizia, che da anni si batte per difendere diritti che in ogni democrazia occidentale dovrebbero essere scolpiti nella pietra, nel computo bisogna inserire Irpef, addizionale regionale Irpef, addizionale comunale Irpef, Ires e cedolare secca per un totale di 9 miliardi. Poi ci sono altri 9 miliardi di tributi indiretti sui trasferimenti (Iva, imposta di registro, imposta di bollo, imposte ipotecarie e catastali, imposta sulle successioni e donazioni). Un ulteriore miliarduccio viene incassato dall’erario per i tributi indiretti sulle locazioni (imposta di registro e imposta di bollo).

Ci sono infine 10 miliardi di tasse che vengono versati per motivi differenti, tra cui la Tari, il tributo provinciale per l’ambiente e i contributi ai consorzi di bonifica. Volete sapere a quanto ammonta il totale? Ebbene, la sberla fiscale sul comparto immobiliare arriva a 51 miliardi di euro.

La cifra sembra abbastanza ingente da meritare attenzione. Non per, come spesso si sente in giro, incrementare ulteriormente la pressione fiscale sul mattone, magari con una bella riforma del catasto, con operazioni di riclassamento degli immobili o addirittura con una reintroduzione dell’Imu sulla prima casa (perché può sembrare impossibile ma abbiamo dovuto assistere anche a questo).
Ma per avviare, come spiega anche oggi nel suo commento il direttore editoriale Daniele Capezzone, un percorso di graduale ma progressiva riduzione del carico tributario sugli immobili. In un’ottica di medio periodo l’impresa non è titanica. Ed anche dei piccoli passi, considerato che circa il 70% degli italiani possiede un immobile, potrebbe forse portare sollievo più dei bonus e dei sussidi che di tanto in tanto spuntano all’orizzonte.

 

 

 

MAZZATA GREEN

Ma sarebbe già un bel segnale bloccare l’imminente uragano che si sta per abbattere sulle nostre case. Già, perché oltre a pagare 51 miliardi di tasse l’anno, ora la genialata è farcene pagare altri 1.000 per salvare il pianeta. Eh sì, perché per bloccare il cambiamento climatico che il 100% della comunità scientifica attribuisce alla dissennata azione dell’uomo (e guai a dire il contrario se non volete beccarvi l’accusa di negazionismo e magari trovarvi sotto casa qualche ecovandalo di Ultima generazione che vi imbrattai muri o vi impedisce di andare al lavoro facendo resistenza passiva davanti l’uscio) sembra sia necessario che l’Europa azzeri il suo letale 9% delle emissioni di CO2 globali, di cui circa l’1% attribuibili agli immobili.

Il costo per ottenere benefici talmente grandi, del resto, è modico. Secondo un recente studio di Deloitte, per adeguare i nostri immobili ai parametri previsti dalla direttiva Ue sulle case green (che i governi comunitari, compreso il nostro, saranno costretti a recepire) serviranno dagli 800 ai 1.000 miliardi.

Intendiamoci, si tratta della cifra complessiva. Nessuna paura. Per rendere ecologicamente compatibile un immobile serviranno “solo” 50-60mila euro. Che sarà mai. Dopo che avete pagato Imu, Tari, addizionali, contributi e imposte che non vi resta qualche spiccio in tasca?

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