Se la Cina viene qui a produrre le sue auto, l'Europa non avrà più armi
L’ingegnoso, ma anche inattendibile, ad di Stellantis, Carlos Tavares, continua a fare e disfare, annunciare e ritrarre, inventare e poi lasciare all’interpretazione un modus operandi che (rappresentando il terzo o quarto gruppo del globo dell’automotive) non fa ben sperare per la politica industriale dell’Europa e ancor più dell’Italia.
Dopo i dati non certo brillanti dei primi mesi del 2024, cui ha fatto seguito l’annuncio di aspettarsi un anno difficile, ecco il closing con Leapmotor, gigante cinese dell’auto, di cui Stellantis ha rilevato il 20%, per un prezzo di oltre 1,5 miliardo di euro. Il motivo dell’acquisto ha tre capisaldi: entrare con maggior facilità nella terra di Mao per le tre punte di diamante della scuderia italo-francese: Jeep, Maserati e Alfa Romeo; ottenere tecnologie per il motore elettrico da usare sui marchi Stellantis e, infine, non farsi scavalcare commercialmente da altri produttori cinesi nell’export in Europa, usando la genialità d’insediare impianti cacciavite, ovvero di assemblaggio dei prodotti realizzati in Cina. Una specie di Ikea del fai da te.
L’ultimo annuncio di Tavares ha dato inizio alla fase dell’export di auto fuori dalla Cina. Le esportazioni in Europa inizieranno a settembre specie nei Paesi in cui Stellantis ha quote di mercato significative, quindi si esclude la Germania socia in affari con la Cina, e si punterà su una rete di circa 200 concessionari.
Su impianti e produzioni, R&S e sostegno alla rete distributiva nulla ha detto Tavares facendo, però, intendere che sta offrendo all’Europa una chance di recuperare sull’elettrico- assai in ritardo specie in Italia - di fatto a zero costi avendo Stellantis acquisito una quota che gli consente di contare nelle scelte strategiche e industriali.
In sintesi, soprattuto a noi, vuole regalarci un tozzo di pane a fronte del continuo depauperamento di produzioni, reti commerciali e distributive, per non parlare di ricerca. È bene ricordare che la governance del gruppo nato dalla fusione tra i gruppi Fiat Chrysler e PSA(Peugeot e Citroen) ha sede legale in Olanda e là paga le tasse, possiede 14 marchi, a cui ora, anche se in quota minoritaria, si aggiunge Leapmotor.
La governance è presieduta da John Elkann, la cui scuderia famigliare possiede il 14,5%. Nel cda dominano le presenze francesi e Elkann che, fin dalla fusione, ha intravisto nella storia gloriosa della Fiat un residuo di cui liberarsi, usando sia stratagemmi di facciata che problematiche irrisolte che da decenni hanno condizionato il sistema produttivo italiano. Tra i primi ci sono i limitati incentivi concessi all’Italia rispetto a Germania, Francia e Spagna, tra i secondi, una produttività inferiore di oltre un punto rispetto a quella francese e iberica e un sindacato che ha una vision di brevissimo periodo e che, da decenni, sta perseverando nel creare relazioni sindacali problematiche, di scarsa efficacia per i lavoratori e impegnative per produttori.
Ai citati problemi si aggiungono quelli della logistica e dei trasporti che restano deficitari specie per chi produce merci ingombranti come le auto. L’Europa per fermare la valanga cinese dovrà adottare una formula di dazi molto intensiva, visto anche come si stanno muovendo, giustamente, gli Usa nei confronti della Cina. Accettare l’assemblaggio sul nostro suolo o su altri Stati Ue rischierebbe d’inficiare la politica dei dazi e non poter opporre alcuna resistenza.