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Fisco, arriva l'algoritmo anti-evasori: caccia ai furbi, chi rischia grosso

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 grande fratello fisco  

Antonio Castro
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L’ultima frontiera nella lotta agli evasori- quando e come la commissione di super esperti deciderà come declinarla- sarà l’adozione dell’intelligenza artificiale. Il tutto per intrecciare i dati, scovare chi lo fa reiteratamente (seriali), e distingue chi incappa in un errore fiscale una tantum. L’attesa riforma fiscale italiana - avviata ad inizio legislatura sotto l’ala del viceministro Maurizio Leo, tributarista di grido nel panorama fiscale italiano - ha «il vantaggio di essere stata avviata ad inizio legislatura, nel 2023», mette le mani avanti il presidente del Tributaristi italiani, Riccardo Alemanno, «e quindi ci sono buone probabilità che nei prossimi anni possa vedere la luce visti i tempi e le scadenze già impostate dall’esecutivo».

FISCO LUNARE

Non c’è dubbio che vada cambiato questo fisco lunare (copyright dell’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, correva l’anno domini 1993), ma «ci vuole tempo. Per modificare le norme e fare i test. L’errore è dietro l’angolo», avverte Alemanno, «per questo sono previsti due anni per l’adozione delle innovazioni e altri due anni per le eventuali correzioni in corsa». È vero che la lotta all’evasione (stime Bankitalia) è una guerra miliardaria. Che si combatte a botte di 100 miliardi l’anno (stime prudenti). Non a caso la Repubblica Italiana vanta un magazzino fiscale di crediti contributivi o erariali non incassati che supera i mille e duecento miliardi di euro. Per ammissione del direttore dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, Ernesto Maria Ruffini solo «un 6% è realmente aggredibile e recuperabile».

Ruffini, nominato dal centro sinistra, riconfermato dal centrodestra, è un tecnico che sa navigare bene nei marosi della politica italiana (avvocato palermitano che conosce a fondo la sua macchina di riscossione). Il direttore ammette: «Buona parte di questo ammontare non è recuperabile» e «rimangono 101 miliardi da riscuotere», ma va considerato, spiega, che per i soggetti debitori ci sono «limitazioni nella riscossione per interventi del legislatore». Ecco il problema sono, semmai, proprio le «limitazioni».

 

 

 

Leo, sulla tolda di via XX Settembre al timone della corazzata fiscale, lo sa benissimo. E poi, prosegue Alemanno, «dobbiamo attendere l’approvazione del decreto legislativo che dispone la destinazione del magazzino al 2024 e la nuova modalità che nel quinquennio in cui l’eventuale cartella non riscossa verrà rispedita al titolare del credito (Inps, Comuni, erario, dogane, Ndr)». C’è di buono che a fine 2024 «si comincerà a fare pulizia». Verrà infatti costituita (a dirla tutta i super esperti  in materia sono già al lavoro informalmente), «una commissione con i rappresentanti di Corte dei Conti, Dipartimento delle finanze e Ragioneria generale dello Stato». Insomma, per quanto riguarda il magazzino (pari a quasi la metà debito pubblico italiano), bisognerà affrontare tutta una serie di valutazioni. E non sarà una passeggiata di salute. «L’articolo 7 del decreto riscosssione», spiega sempre il presidente dei tributaristi italiani, «prevede tre step da attuare dopo aver messo in piedi la Commissione».

Lo stock di tasse non pagate verrà suddiviso in tre blocchi (entro il 31 dicembre 2025 tutti i carichi affidati dal 2000 al 2010, al 31 dicembre 2027 quelli dal 2011 al 2017, infine al 31 dicembre 2031 quelli dal 2019 al 2024). Questo perché «dal 2025» l’Agenzia di risossione riaffiderà tutti gli atti all’effettivo creditore passati i previsti 5 anni con decorrenza 1 gennaio 2025. C’è da dire che l’immensa riforma avviata dal governo dovrà affrontare una montagna di norme, regolamenti e direttive da far tremare i polsi. E indurre in errore. Tanto che la riforma del governo Meloni ipotizza proprio un biennio per la messa a regime e un ulteriore biennio (che coinciderà con la fine della legislatura) per correggere eventuali fraintendimenti e pasticci che potessero saltare fuori con l’attuazione.

 

 

 

BANCHE DATI INTERE

E l’adozione dell’intelligenza artificiale? Consentirà di mettere finalmente in rete tutti i dati che la macchina pubblica ha già in pancia ma che non incrocia. Dal demanio ai conti correnti, dall’uso della carte di credito al tenore di vita. Se poi una partita Iva nasce e muore contando sui tempi lunghi dell’elefante statale l’algoritmo fiscale consentirà un tempestivo intervento. Distinguendo tra il povero cristo che non arriva alla fine del mese (e quindi salta una rata del bollo), dall’evasore fiscale seriale che ha fatto del salto delle tasse uno sport olimpico. A scorrere le statistiche salta fuori che in Italia (dati 2023) 350centomila contribuenti devono al Fisco oltre 500mila euro a testa. Non proprio il piccolo artigiano o il commerciante sotto casa. Neppure il dipendente al quale il fisco preleva le imposte all’origine. 

 

 

 

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