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Stellantis, bonus da 190 mila per andarsene da Fiat

Antonio Castro
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Primo tempo: allungare il piattino. Chiedere quattrini allo Stato (un miliardino al governo italiano) minacciando, in alternativa di abbandonare gli stabilimenti per la produzione di autovetture elettriche. Motivando la decisione semplicemente «perché da se ne vendono pochine. Troppo poche». Ovviamente si sorvola sui prezzi stellari e sul differenziale dei salari tra Italia (fermi dal 1991 ad un omeopatico +0,36%), mentre in Francia nello stesso periodo sono aumentati del 33%. Secondo tempo: i cugini francesi pensano bene a fine novembre di inviare una letterina a 15mila dipendenti (sui 45mila oggi a libro paga dell’ex Lingotto) per invitarli a dimettersi, ritirarsi, andarsene. Insomma, liberare posti. I numeri fanno impressione: Stellantis nel dicembre 2023 ha inviato via mail a 15mila dipendenti - un terzo dell’attuale forza lavoro la proposta formale di «recedere il contratto di lavoro» offrendo fino a 190mila euro di buonuscita a seconda del ruolo, dell’anzianità della base retributiva. A dirla tutta anche negli anni precedenti erano arrivate sollecitazioni simili ma con importi ben più ridotti e ad una platea di lavoratori ben più prossimi all’età pensionabile.

Ovviamente il “premio ciao ciao” è un tentativo per alleggerire gli organici dei colletti bianchi italiani. La riflessione si fa in casa sindacale e non sembra fare una grinza. Il timore è che si intenda smantellare tutta la platea impiegatizia nazionale per far traslocare i lavoratori più giovani oltralpe. Episodi sporadici sono stati già formalizzati in via sperimentale. Dalla Slovacchia sono stati spediti a Melfi un manipolo di operai che non parlavano una parola di italiano, dovevano solo essere inseriti in linea di montaggio ed apprendere i movimenti. Identiche trasferte da Melfi alla Francia. Con buone indennità di trasferta (circa 400 euro), ma senza alcuna formazione aggiuntiva solo per sostituire colleghi assenti. Terzo tempo: i cugini francesi hanno i loro quadri da far macinare. La strategia aziendale vuole essere definita a Parigi e portarsi in dote migliaia di “vecchi” dipendenti potrebbe frenare la rivoluzione che hanno in testa i nuovi soci di Stellantis. Il timore è che i soci francesi vogliano smantellare il sistema produttivo (e il know-how automobilistico italiano), richiedendo generosi incentivi all’Italia. Ultimo atto: meno di un mese la casa madre aveva messo sul piatto dai centoventiseimila ai 190mila euro euro lordi per lasciare il posto di lavoro. Nei mesi scorsi una mail delle direzione “risorse umane” ha sollecitato i dipendenti con una circolare interna. Il tono era accattivante: “Costruire il loro futuro”, sorvolando sul dettaglio che per farlo bisognasse dimettersi, incassare certo la buona uscita. Un piano di esodo incentivato basato l’età, gli anni di anzianità aziendale, oltre a tre mensilità aggiuntive e mettendosi sopra anche l’indennità di mancato preavviso.

 

Inoltre le risorse umane rassicurano che chi non ha un nuovo lavoro potrà contare anche sulla Naspi, ovvero su due anni di disoccupazione. Un suggerimento “furbetto” scaricando così sulle casse dell’Inps l’ex lavoratore. C’è chi tra i più vicini al pensionamento ha accolto con favore la proposta. Quantomeno ha cominciato a farsi due conti, magari confidando magari in un lavoretto nell’indotto per non finire proprio ai giardinetti. Certo le 15mila comunicazioni inviate ai dipendenti italiani hanno lasciato il segno. E tracciato una rotta ben chiara. Una missiva che da una parte è stata accolta con favore da chi ha deciso di approfittare dell’opportunità, ma che solleva i soliti dubbi sull’interesse che il gruppo Stellantis ha per Torino e il nostro Paese. «Ho 46 anni», fa di conto un dipendente con una ventina di anni in fabbrica, «se volessi andare via da Stellantis mi darebbero 110.000 euro, più il trattamento di fine rapporto e due anni di Naspi nel caso non avessi un altro lavoro". L'offerta allettante è stata messa sul tavolo a tutti gli impiegati del gruppo il 27 ottobre 2023 scorso.

 

Certo stride un po’ con la voglia tutta italiana di realizzare l’hub italiano delle batterie per alimentare il futuro settore dell’automotive. Giusto a inizio 2023 dal riciclo di materie plastiche e delle batterie tra Napoli, Caserta e Isernia hanno preso il via (anche con il sostegno dei fondi europei, oltre 500 milioni di euro) i due poli della sostenibilità energetica italiana del Gruppo Seri industrial S.p.A., con la Gigafactory dello stabilimento di Teverola fino all’impianto di riciclo e produzione di materie plastiche di alta qualità a Pozzilli. Visto che per i francesi di Stellantis è oggi tanto importante ottenere 1 miliardo di finanziamenti dall’Italia non si potrebbero investire gli stessi quattrini per potenziare la filiera elettrica senza mettere a rischio Mirafiori e Pomigliano? Tanto più che l’Italia moltiplicando il progetto Sir /Famm potrebbe trasformarsi in fornitore netto per tutti i produttori senza dover ricorrere ai cinesi. Ma serve la volontà di compiere una netta scelta politica e industriale.

 

 

 

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