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Tesla, qual è il vero successo? Niente sindacati

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Benedetta Vitetta
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 Delle sue imprese e come dei suoi fallimenti, dei risultati straordinari raggiunti in diversi settori industriali (dall’automotive fino al comparto aerospaziale passando anche per i social network) vengono vergate, da anni, paginate e paginate in tutto il pianeta. Parliamo dell’eclettico tycoon sudafricano (naturalizzato canadese), Elon Musk, di cui ormai conosciamo pure vita, morte e miracoli e persino gusti e difetti. E proprio su questi oggi vorremmo soffermarci. C’è qualcosa che lui aborra da sempre: avere dipendenti sindacalizzati. Finora il visionario Elon è sempre riuscito a tener la barra dritta non accettando alcun tipo di richiesta avanzata dai lavoratori - sono circa 130mila dipendenti in tutto il pianeta- che non sono mai riusciti ad essere coperti da un contratto collettivo di lavoro. Musk è contro il sindacato per principio, ma qualcosa da qualche mese sta iniziando a cambiare.

IL BLOCCO SVEDESE
Infatti da oltre un mese la Svezia è riuscita, di fronte alla resistenza del miliardario, a “staccare la spina” all’imprenditore. A iniziare la lotta sono stati i 130 dipendenti della TM Sweden (la Tesla svedese, che distribuisce, le auto elettriche americane) che chiedono il contratto collettivo dei metalmeccanici. E di fronte al suo diniego, 470 officine che assicuravano l’assistenza alle vetture elettriche hanno immediatamente annunciato che non metteranno più le mani nel motore fino a un accordo tra le parti. Medesimo è stato il comportamento del sindacato degli elettrici che ha deciso di sospendere la manutenzione delle 213 stazioni di ricarica per le Tesla. E anche i postini - in Svezia sono loro a recapitare nelle caselle postali le targhe dei nuovi veicoli hanno avviato una guerra contro l’impero Tesla. E in poche settimane alla Svezia si sono aggiunte le medesime rivendicazioni in Norvegia e Danimarca.

 

 


IL “BUBBONE” TEDESCO
Ma il bubbone ora si è allargato pure in Germania, paese in cui il miliardario da oltre un anno ha aperto uno stabilimento a Grüneide, cittadini di 40mila persone alle porte di Berlino. E ora potrebbero iniziare veri guai per il colosso Tesla, già provato dal recente sorpasso in termini di consegne da parte della cinese Byd nell’ultimo trimestre 2023. «Siamo concentrati su come trovare rapidamente e senza inutili escalation soluzioni per i dipendenti e far sì che i cambiamenti avvengano più velocemente», ha detto il direttore dello stabilimento, André Thierig, spiegando che «le retribuzioni saranno riviste regolarmente». In più il top manager ha detto che ci saranno vari benefici per i dipendenti anche senza un contratto collettivo. Un rapporto di lavoro basato, tra le altre cose, su retribuzione e un definito orario di lavoro e che l’Ig Metall, il fortissimo sindacato teutonico dei metalmeccanici, vuole vincere ed è fiducioso che si arriverà a una contrattazione collettiva pure all’interno della Tesla.

Al di là di come andranno eventuali incontri o trattative tra azienda e sindacato, per il gruppo di Musk si tratta di una grana di non poco conto. Visto che nei progetti del miliardario a Grüneide era previsto il raddoppio dello stabilimento con l’obiettivo di raggiungere un milione di auto prodotte da qui ai prossimi anni, ma soprattutto l’avvio della produzione della prima vetttura elettrica low cost da 25mila euro che strizza l’occhio al pubblico meno danaroso. Girano già voci che ipotizzano che, stufo delle troppe lamentele dei dipendenti europei, Musk stia pensando di abbandonare il Vecchio Continente sindacalizzato scomettendo solo sulla forza lavoro cinese e sui contributi americani. Lasciando al palo e senza elettricità l’Europa.

 

 

 

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