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Se Giorgetti s'incavola: "Basta allucinazioni sul superbonus"

Giancarlo Giorgetti

Il ministro dell'Economia in Commissione: «La voragine causata dalla misura sull'edilizia è peggiore delle stime. Il Patto di stabilità è un compromesso»

Francesco Specchia
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Prima la metafora radioattiva. Poi quella lisergica, che è letterariamente più raffinata.
Quando Giancarlo Giorgetti, per dare un’idea del peso terrificante del Superbonus del 110% sui nostri conti pubblici, nonché delle leggende nate sul patto di Stabilità, cita, in Commissione Bilancio della Camera, l’effetto superfricchettone di «un’allucinazione psichedelica»; bè, in quell’istante esatto, egli fotografa una distorsione del reale come soltanto un Cinquestelle al top della forma può fare. Conte, in questo - lascia intendere -, è stato di una creatività straordinaria. Per il ministro delle Finanze, il bilancio pubblico ha inalato la misura edilizia del M5s come «Lsd che abbiamo preso negli ultimi quattro anni; e piano piano, con grande prudenza e grande coraggio, dobbiamo eliminare tutte queste misure che non ci possiamo permettere». Alla luce della Legge di bilancio in quasi certa via d’approvazione (più che l’esercizio provvisorio, le opposizioni contrarie e contrariate temono la fiducia...), Giorgetti fa dunque un punto. Crudele. «Gli ultimi dati sul superbonus sono ancora peggiori di quello ipotizzato solo a fine settembre nella Nadef (extracosto di 80 miliardi per i prossimi 4 anni, ndr): siamo l’unico caso di un Superbonus al 110%, con il debito a 140, e dal prossimo anno ci troveremo con 70%. Qual è l’altro Paese europeo in cui c’è il 70% di bonus per ristrutturare gli edifici? La Macedonia del Nord, che non è in Europa. Visto da dentro quel 70 è pochissimo, visto da fuori è tantissimo, dobbiamo uscire fuori da questa allucinazione». La battuta sulla Macedonia del Nord è, onestamente, azzeccata.
COME CHERNOBYL Poco prima, sempre per il Superbonus, Giorgetti ne aveva richiamato gli «effetti radioattivi di una centrale nucleare che ancora non riusciamo a gestire», roba tipo Chernobyl. Dopodiché l’economo d’Italia afferma che, pur con la spinta alla proroga di Forza Italia e pur essendo «il Parlamento a decidere, io so qual è il limite oltre cui non si può andare, questa è la realtà dei numeri». E la realtà dei numeri sarà pur grave per le opposizioni, ma non è troppo seria per il governo.
Il discorso di Giorgetti alle istituzioni avrebbe dovuto essere, nella prima intenzione, democristianamente nebuloso.
Invece finisce con lo spaziare dal Patto di Stabilità alla Manovra, al Mes; ed è di un’efficacia limpida quanto la sua spietatezza. L’accordo sul Patto, rileva il leghista, «è un compromesso, se verso il basso o verso l’alto, le valutazioni le faremo tra qualche tempo». «Il successo italiano è la possibilità dell’allungamento» fino a «sette anni per coloro che rispettano il Pnrr. Vuol dire che bisogna rispettare il Pnrr» sottolinea. E «in tutto questo, la flessibilità è entrata ed è un grande successo del nostro Paese».
Questa parte Giorgetti la ripete ben tre volte, e indica col dito un’immaginaria platea di contribuenti. E spiega di non aver voluto mettere il «veto sul patto» a livello europeo, perché poi avrebbe potuto esercitarlo ognuno dei 27 stati membri, e da lì non ne saremmo usciti vivi.
Poi il ministro s’increspa sul Mes, della cui ratifica da parte governativa smentisce con decisione di aver parlato, in nessuna sede istituzionale, reale o virtuale. «Ho letto cose assurde, assolutamente false evi prego di prenderne atto», dice Giorgetti, spiegando di aver affermato che dopo quattro rinvii «una decisione sul Mes il Parlamento per serietà avrebbe dovuta prenderla». Sicché il Parlamento sovrano «ha votato, e come avevo anticipato in sede europea, dove ho sempre detto» che gran parte del Parlamento era contraria e «l’esito sarebbe stato inevitabilmente questo». Ossia la bocciatura del Mes. Cioè, secondo il ministro, il problema non è l’austerità, ma «la disciplina per chi fa politica di prendere decisioni e attuarle anche se sono impopolari»; sicché, un veto sul tema avrebbe fatto «tornare a regole molto peggiori di quelle che il governo si troverà nei prossimi mesi». Mentre ora- par di capire- almeno ci sono 3 anni, fino al 2027, per giocarcela bene.
IL MOLOCH DEL DEBITO Ergo: il Meccanismo Europeo di Stabilità non è «né la causa né la soluzione del nostro problema», perché il vero problema è il moloch del debito pubblico, che costa e dev’essere tenuto sotto controllo, o il Paese «non ce la farà». Anche perché, spiega il ministro, con uno Stato che viaggia, appunto, sul 140% del debito- secondo solo alla Grecia - be’, negoziare da posizioni svantaggiose diventa difficoltoso. Le parole sono proiettili. Altro argomento: la Manovra. Per la quale «l’esame del Senato ha prodotto una serie di cambiamenti che hanno nel complesso» portato a un miglioramento «di tutti i saldi di finanza pubblica». Ed eccolo, quindi, citare le misure sulla previdenza di medici, dipendenti di enti locali, maestri e ufficiali giudiziari, ma anche le misure a contrasto del disagio abitativo o quelle relative alle infrastrutture. «È stata mantenuta intatta» osserva Giorgetti «la quadratura e l’impianto della nostra proposta e il governo lo valuta positivamente». Giorgetti chiude col cavallo di battaglia salviniano, lo Stretto di Messina. Un’opera contrastata che, nonostante la vulgata «era nel disegno originario della Manovra. Non trovo per niente scandaloso che il fondo di sviluppo e coesione delle regioni direttamente interessate dia un contributo», dice il ministro dell’Economia. L’audizione giorgettiana, com’era prevedibile, incendia la giornata politica. C’è chi- come Calenda e il Pd - ne chiede del titolare del dicastero, svogliatamente, le dimissioni; chi, come Faraone, Iv, gli dà del «semplice notaio»; chi, di fatto, lo identifica come un Don Abbondio. Ma c’è chi, da questa parte della barricata, certifica pure che, nella sua dimensione sempre più draghiana, per fortuna «Giorgetti c’è»... 

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