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La Cop28 fallisce per l'ideologia ambientalista

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Daniele Dell'Orco
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Il vertice sul clima Cop28 di Dubai, che si chiuderà il 12 dicembre, è un successo in termini di partecipazione per il quantitativo di capi di stato e di governo coinvolti e per le 70mila persone che sono accorse a vario titolo negli Emirati. Il problema è che i fallimenti arrivano quando questi leader iniziano a parlarsi. Gli obiettivi sul cambiamento climatico che i governi avevano stabilito a Parigi nel 2015 sono disattesi. E non di poco. La Cop28 in questo senso dovrebbe prendere decisioni drastiche, visto che mantenere la temperatura del pianeta entro 1,5° a fine secolo rispetto al periodo preindustriale (1750-1850) è praticamente impossibile. Secondo il Segretario generale dell’Onu, António Guterres, «le tendenze attuali stanno portando il nostro pianeta verso un vicolo cieco con un aumento della temperatura di 3°C».

Le emissioni dovrebbero essere tagliate del 43% entro il 2030 e del 60% nel 2035. A Dubai, a chiacchiere, 116 Paesi hanno dato la loro disponibilità a triplicare l’uso delle rinnovabili da qui al 2030, e si è tornato a parlare con insistenza di nucleare di nuova generazione per diminuire la dipendenza dal fossile. Ma il problema sono gli idrocarburi, un tema che continua ad essere trattato male e in modo demagogico. Non è un caso che a presiedere l’appuntamento di Dubai ci sia il sultano Ahmed Al Jaber, ministro dell’Industria degli Emirati che è allo stesso tempo ad della società petrolifera di Stato: Adnoc. Per intenderci, Al Jaber è lo stesso che ha deciso di aumentare la produzione di greggio da 3 a 5 milioni di barili al giorno entro il 2030. Un motivo ci sarà.


SOLO GLI ELETTRONI?

Allo stesso tempo, i 50 maggiori produttori di petrolio, fra i quali Exxon e Aramco, che rappresentano il 40% della produzione petrolifera globale, si sono impegnati da un lato a ridurre le loro emissioni, comprese quelle di metano. Non del 75% come si favoleggiava negli Accordi di Parigi, ma se non altro è un impegno, dall’altro il Ceo di ExxonMobil, Darren Woods, ha fatto notare che tutti i colloqui sulla transizione energetica si siano concentrati sempre e solo sulla “soluzione degli elettroni”: «La transizione non si limita solo all’energia eolica, solare e ai veicoli elettrici», ha detto al Financial Times. «La cattura del carbonio avrà un ruolo importante. Siamo bravi in questo. Sappiamo come farlo, possiamo contribuire. L’idrogeno avrà un ruolo. I biocarburanti giocheranno un ruolo». L’enfasi, ideologica, sull’eliminazione dei combustibili fossili, petrolio e gas, non contempla infatti nemmeno lontanamente altre strade, come quella che porta non alla cancellazione ma alla “gestione” delle emissioni.


Con buona pace degli ambientalisti che vorrebbero che tornassimo tutti al calesse, e che infatti non vedono di buon occhio nemmeno il fatto che per la prima volta in assoluto un Ceo di ExxonMobil abbia scelto di partecipare ad una Cop, la domanda di gas e petrolio resterà costante se non maggiore. E allora, anziché rifiutare un fatto, perché non rifletterci su?
Anche per questo, il premier Meloni nel suo discorso di ieri nel segmento di Alto Livello della Cop28 non ha citato esplicitamente il fossile. Immediatamente, il Wwf l’ha bacchettata, con una nota in cui si legge: «Pur citando l’eliminazione graduale del carbone in Italia, l’elefante nella stanza rimangono gas e petrolio: è, insomma, emersa ancora una volta la subalternità del governo alla narrativa dettata dall’interesse immediato delle partecipate oil&gas. Un discorso molto più rivolto alla politica nazionale che a quella globale, tranne che sul fumoso Piano Mattei, e questo desta preoccupazione alla vigilia della Presidenza italiana del G7».

SPERPERI COLOSSALI
No, l’elefante nella stanza semmai sono gli sperperi ideologici fatti fino ad ora. Per raggiungere obiettivi fuori dalla realtà, dal punto di vista economico nei prossimi trent’anni serviranno altri investimenti “green” da 150mila miliardi di dollari a livello globale. Una cifra già di per sé al di là dell’umana comprensione e del budget che molti Paesi potranno permettersi di coprire. Ma comunque, ammesso e non concesso che verranno messi insieme, sarebbe tragico se anche solo una parte di questi fondi venissero spesi inutilmente. Cosa che, in realtà, sta già accadendo. Cinque anni fa si spendevano 500 miliardi di dollari all’anno per l’energia pulita, mentre quasi il doppio (900 miliardi di euro) erano destinati agli idrocarburi. Da allora gli investimenti negli idrocarburi sono rimasti invariati, mentre la spesa per le energie pulite è aumentata a dismisura, raggiungendo 1,2 trilioni di dollari l’anno scorso e prevedendo di arrivare a 1,8 trilioni di dollari quest’anno. I soldi sono stati spesi ma i risultati non arrivano. Magari è giunta l'ora di spiegare ai talebani del clima prima, e alla politica poi, che è giunta l’ora di cambiare qualche paradigma.

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