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Bollette, tutta la verità sui rincari: nessuna "tassa Meloni", la firma è del Pd

Sandro Iacometti
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Cinque milioni di famiglie, 10 milioni di utenze. Contro di loro sta per arrivare la «furia cieca» del governo (M5S), la «tassa Meloni» (Pd, per bocca direttamente di Elly Schlein), la «rapina sociale» (Avs). Il ministro Raffaele Fitto, illustrando i successi del governo sul Pnrr (siamo il primo paese Ue ad ottenere l’ok alla quarta rata, alla faccia dei catastrofisti), ha provato a spiegare che la fine del mercato tutelato dell’energia, quello con i prezzi di luce e gas decisi dall’Arera, è prevista «da una norma della legge Concorrenza 2022 (governo Draghi, ndr), un obiettivo inserito nella terza rata che abbiamo trovato già raggiunto: non comprendo le polemiche, ci si poteva accorgere al tempo degli effetti di questa norma».

Ma la Schlein nel 2022 non c’era. Ed ora, accorgendosi con un po’ di ritardo di ciò che sta per accadere, pretende che la Meloni «dica la verità agli italiani» perché la novità «tocca la carne viva delle famiglie». Della carne vivaci occupiamo dopo. Ora pensiamo alla verità. Basta andare sul sito dell’Arera (l’autorità dell’energia) per avere un’idea di chi sia la paternità della «tassa Meloni». Draghi, come sostiene Fitto? Siamo lontani. I riferimenti legislativi sono chiari. Quello più recente è del 13 gennaio 2023, legge n. 6. Quello più antico, il primo, è del 4 agosto 2017, la legge n. 124, che poi sarebbe la legge annuale per il mercato e la concorrenza.

 

 

 

IL RESPONSABILE

In altre parole, il responsabile è, udite udite, Paolo Gentiloni, l’uomo delle istituzioni italiane ed europee a cui in molti nel Pd stanno pensando come successore della Schlein. Fu lui, nelle vesti di premier, insieme al fidato ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, ad architettare la «rapina sociale». A voler essere onesti anche Matteo Renzi nel 2015 ci aveva provato, ma la cosa non andò in porto. E se vogliamo andare ancora più indietro a liberalizzare il mercato dell’energia fu Pierluigi Bersani con le sue famose lenzuolate. Da allora, però, nessuno ha avuto il coraggio di mettere in pratica il proposito. E neanche, sia chiaro, di togliere una volta per tutte la miccia. Del resto, chi è che può dirsi contro la concorrenza?

Quando si parla di balneari e taxi sembra che sia una roba di vita o di morte. Viva il mercato, dunque. Ma senza fretta. Il primo slittamento è praticamente contestuale alla disposizione. La fine del servizio di maggior tutela per le bollette doveva finire nel giugno 2018, però si decise subito di spostare la tagliola al giugno 2019. E lo stesso hanno fatto il governo gialloverde e quello giallorosso. Di proroga in proroga si è arrivati fino al 2022. Con qualcosa in più: le riforma è stata infatti inserita nel Pnrr, da un lato per evitare ripensamenti e dall’altro per far contenta la Ue che da sempre ci chiede di liberalizzare il mercato dell’energia. Nel frattempo quello che nel 2017 poteva costituire uno shock ha assunto dimensioni diverse. Su 30 milioni di utenti, infatti, circa 20 sono già nel mercato libero. E molti di essi quando c’è stata l’impennata dei prezzi nel 2022 hanno addirittura spernacchiato i vicini di casa che subivano le oscillazioni della materia prima mentre loro con i contratti bloccati hanno superato la bufera. Motivo per cui molti in quei mesi hanno deciso di abbandonare le tariffe di Stato (che si basano sempre sui costi all’ingrosso). A giugno 2023 ha scelto il mercato il 71% degli utenti per il 78,5% dell’energia fornita.

 

SCIAGURA O VANTAGGIO?

Detto questo, e assodato che siamo di fronte alla “tassa Gentiloni”, resta da capire quale sarà il possibile effetto del passaggio. Dal punto di vista politico e mediatico la prospettiva è quella di una catastrofe. In effetti per diversi anni la liberalizzazione dell’energia è sembrata non seguire la strada di altri settori, come la telefonia o i treni, dove la concorrenza ha prodotto forti cali dei prezzi. Ed è per questo che molti anche nella maggioranza temono il cambiamento brusco. «Conto che con il dialogo si riesca a rimediare a un errore che ci siamo trovati sul tavolo», ha detto ieri Matteo Salvini, riferendosi anche ad un’interlocuzione con Bruxelles. Fitto, pur criticando chi ieri approvava e oggi polemizza, non ha chiuso la porta: «C’è un dibattito in corso». Tra le ipotesi sul tavolo c’è quella di una tempistica che consenta una campagna di comunicazione per favorire una scelta consapevole dell'operatore. Resta il fatto che circa 5 milioni di utenti “vulnerabili” saranno tutelati fino al 2025. E che per gli altri potrebbe non essere una sciagura. Certo, un mercato finora liberalizzato a metà e controllato di fatto da due grandi gruppi (tra l’altro controllati dal Tesoro) potrebbe non garantire da subito gli effetti benefici della concorrenza sui prezzi. D’altro canto dal 2021 le tariffe libere medie e quelle regolate hanno invertito il trend iniziale. Le prime sono scese, le seconde salite. Con uno scarto passato dal -23% del 2020 al +30% del 2022. Un vantaggio a favore del mercato registrato anche nel primo trimestre 2023. Insomma, la cautela è d’obbligo. E i controlli sulla trasparenza delle offerte “libere” pure. Ma di belve pronte ad azzannare la carne viva delle famiglie, per ora, non se ne vedono.
 

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