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Manovra, per il ceto medio c'è una ricetta da riproporre: meno spesa, meno tasse

Sandro Iacometti
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Se c’è una cosa che non si può dire di Giancarlo Giorgetti è che tenti di prendere per il naso gli italiani. Ieri, illustrando la manovra davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato il ministro dell’Economia ha ammesso che è «espansiva solo per i redditi medio bassi» e che «è stato fatto qualcosa di meno per le imprese».

Due confessioni che fotografano il sentiero strettissimo della legge di bilancio, schiacciata da una parte dalla disastrosa eredità lasciata sui conti pubblici dalla spesa allegra e del governo giallorosso di M5S e Pd, con il Superbonus che continuerà a produrre 20 miliardi di debito l’annodi qui al 2027 e forse oltre, e dall’altra dalle conseguenze della furia rialzista della Bce e, soprattutto, dal ritorno del Patto di Stabilità. Di qui austerità, prudenza, pragmatismo. Tutte caratteristiche che i mercati hanno già mostrato di apprezzare e che probabilmente saranno gradite anche alla Commissione Europea, anche se troverà comunque il modo di storcere il naso sui saldi non perfettamente in linea con i desideri di Berlino.

 

 

Epperò agli elettori del centrodestra risuonano ancora nella testa le parole chiare, nette e splendidamente liberali con cui Giorgia Meloni si è presentata in Parlamento al momento del suo insediamento: aiutare chi crea ricchezza e lavoro, stare al fianco di professionisti e autonomi che costituiscono un asse portante dell’economia, ridurre la pressione fiscale su imprese e famiglie, considerare la crescita la strada maestra per ridurre il debito.

Ecco, siamo tutti consapevoli, come ha detto lo stesso premier, che ci troviamo «nel pieno di una tempesta, con un'imbarcazione che ha subito diversi danni». In più la congiuntura è negativa, le guerre non aiutano e le pignolerie di Bruxelles neanche. Detto questo, bisognerà prima o poi spiegare perché a pagare le conseguenze delle sventure contingenti debbano essere sempre gli stessi. Che poi sono quelli che tirano avanti la carretta, che sostengono la domanda interna, che versano i contributi necessari ad evitare che in futuro lo Stato debba rimpolpare il vitalizio. E, soprattutto, quelli che pagano le tasse e tengono in piedi il nostro generoso sistema di welfare. Ieri, analizzando il sacrosanto, benvenuto e robusto taglio del cuneo fiscale esteso dal governo a tutto il 2024 (quest’anno, vale la pena ricordarlo, è stato operativo solo per sei mesi) mettendo sul piatto ben 10 miliardi dei 24 complessivi della manovra, l’Ufficio parlamentare di bilancio ha sottolineato che chi è sopra i 35mila euro di reddito, anche per un solo euro, perderà un beneficio di circa 1.100 euro.

 

 

EQUILIBRIO PRECARIO - Ebbene, proprio al di sopra di quella soglia di guadagni si trova il 14% dei contribuenti che paga il 62,5% di tutto il gettito Irpef da 175 miliardi. Si tratta del famigerato ceto medio. Poco meno di 6 milioni di italiani che versano allo Stato più di ciò che ricevono in termini di servizi sanitari e scolastici, che consumano e acquistano, che si fanno carico di chi le imposte non le paga per furberia o necessità, che finanziano gli assegni sociali e i bonus a meno abbienti.

Questo blocco sociale non va aiutato perché è bello o buono. E neanche perché pure lui vota, solitamente non per chi propone espropri e patrimoniali per redistribuire la ricchezza. Ma perché è il perno su cui ruota la sostenibilità del precario e spesso iniquo equilibrio su cui si regge il Paese. Perché è l’unico modo di tornare sulla strada maestra della crescita. Ora, sappiamo perfettamente che tutte le istituzioni politiche e finanziarie italiane e internazionali hanno consigliato i governi di centellinare i sostegni alle fasce più basse della popolazione per non alimentare spirali inflazionistiche. Sappiamo anche che, considerato l’accorpamento delle aliquote Irpef, su 28 miliardi di finanziaria, ci sono circa 15 miliardi di sforbiciata alle tasse che va nella giusta direzione. E sappiamo, infine, che negli ultimi decenni, i soldi per mandare avanti il Paese si sono trovati solo a colpi di balzelli e di deficit.

Ma la Meloni ha sempre detto di essere in grado di ribaltare i pronostici e di saper affrontare le sfide impossibili. E allora, malgrado i tanti fallimenti del passato, pure quella di mettere mano agli oltre mille miliardi di spesa pubblica, fatta anche di sprechi, inefficienze e ruberie, dovrebbe essere presa in considerazione. Qualche taglio in manovra c’è, è vero. Ma se il ceto medio, i dipendenti, i professionisti, le partite Iva restano a bocca asciutta vuol dire che occorre fare di più. La rivoluzione copernicana promessa dal governo si gioca anche su questo terreno: meno spesa, meno tasse per tutti. Roba che manco i terrapiattisti riescono ad immaginare. 

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