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Manovra blindata, una svolta epocale: finalmente si chiude il suk in Parlamento

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Sandro Iacometti
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Qualcuno racconta che sulla manovra se le sono date di santa ragione, dimostrando la fragilità di una coalizione di governo spaccata e rissosa. Altri sostengono che l’idea della maggioranza di non presentare emendamenti durante l’iter della legge di bilancio alla Camera e al Senato sia «una intollerabile forzatura istituzionale per umiliare il Parlamento e svuotarlo delle sue prerogative». Su entrambi i punti l’analisi potrebbe essere presa in considerazione solo da chi fosse oggi sbarcato da Marte e avesse mosso i suoi primi, titubanti passi nella politica italiana. Tanto per rinfrescare un po’ la memoria a chi finge di essere vissuto su un altro pianeta, la manovra del 2020, governo M5S-Pd, premier Giuseppe Conte, è stata approvata dal Consiglio dei ministri il 15 ottobre del 2019 con la vecchia formulina del «salvo intese» (ve la ricordate?), che significava sostanzialmente che era poco più di una traccia di lavoro sui cui poi tutti i partiti si sarebbero piacevolmente scannati.

Passano pochi giorni e il 18 ottobre, dopo aver riunito i suoi ministri, il leader pentastellato Luigi Di Maio esce dal vertice e sentenzia: «La legge di bilancio è tutta da riscrivere». Nelle stesse ora Matteo Renzi annuncia che «si farà sentire sui microbalzelli come la sugar tax o le imposte sulla casa». Mentre la sintesi di Dario Franceschini, capo delegazione del Pd, è che «un ultimatum al giorno toglie il governo di torno». Tra minacce, diktat e scazzottate si arriva così, guarda la coincidenza, al 30 ottobre 2019, quando sempre Di Maio annuncia: «La manovra è sostanzialmente chiusa. La miglioreremo in Parlamento. È un buon punto di partenza». Avete capito bene, un punto di partenza. Eh sì, perché quello che poi succede in Italia da decenni dopo la presentazione della legge di bilancio alle Camere lo sappiamo tutti benissimo. Due mesi circa di battaglie furiose nelle commissioni e in aula per piantare bandierine, ottenere prebende, eliminare norme sgradite. E persino per decidere quanti e quali debbano essere i relatori. Ricatti, anatemi, scambi sottobanco. In quei giorni il Parlamento si trasforma nel peggiore e più caotico dei suk, dove si mercanteggia, ci si pugnala alle spalle, si boicotta, si mente e si tradisce. Altro che i 13 giorni di scaramucce che sono serviti ai leader di centrodestra per approvare in Cdm e poi mettere a punto un testo che, stando alle dichiarazioni di ieri, soddisfa tutti i capi della maggioranza e consentirà di concentrare il dibattito parlamentare sulle richieste delle opposizioni.

 

 

MERCATO DELLE VACCHE
La cosa che resta da vedere è se la coalizione riuscirà a tenere fede all’impegno, lasciando che eventuali piccole correzioni siano affidate ad emendamenti governativi. Ma se così fosse si tratterebbe di un cambiamento epocale per il nostro Paese e per la credibilità della sua politica. Una roba forse mai accaduta nella seconda Repubblica, ma neanche nella prima. O vogliamo davvero pensare che il Parlamento sia più umiliato da una legge di bilancio che per una volta arriva in aula dopo un accordo già fatto tra chi ha i numeri per approvarla piuttosto che da un testo che è carta straccia e scatena il più sfacciato e sguaiato mercato delle vacche fino alla vigilia di Capodanno per trovare il modo, grazie alla minaccia dell’esercizio provvisorio, di diventare legge? Certo, la Lega ha ottenuto qualcosa sulle pensioni e Forza Italia sulle tasse. Sono stati necessari dei compromessi, dei passi indietro.

 

 

Qualcuno avrà dovuto masticare amaro. E forse ci sarà ancora da fare qualche piccolo aggiustamento. Ma se le deviazioni dal percorso tracciato non saranno eccessive né troppo turbolente, solo fingendo di avere la memoria di un pesce rosso si riuscirà a non riconoscere la svolta di metodo ottenuta dal governo. Una svolta che non è solo questione di forma. Ma di sostanza. Sarà un caso, e sicuramente sono tante le variabili in gioco, ma ieri, nella giornata dell’accordo sulla manovra “blindata”, lo spread è sceso a 191 punti e il rendimento al 4,7%. La strada è ancora lunga. Oggi l’Istat emetterà il verdetto sul pil del terzo trimestre. Poi ci saranno i giudizi di Moody’s e Fitch. E infine l’esame di Bruxelles. Ma oltre alla prudenza dei saldi, l’intesa rapida e, tutto sommato, non traumatica sul testo, con la promessa che non voleranno stracci in Parlamento, è sicuramente un buon inizio. Per l’Italia più che per il governo.

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