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Giorgia Meloni fa impazzire la sinistra: "Fascista! Aiuta le madri"

Francesco Specchia
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Il riflesso è pavloviano, e porta a sparate di progressione irresistibile. Giancarlo Giorgetti non fa in tempo ad esalare la bozza del «signori, la legge di bilan...» che subito le agenzie stampa, le tv e le piazze dell’opposizione iniziano la faticosa lapidazione della Finanziaria del nostro ministro dell’Economia preferito. Così, prima la lapidano e poi la leggono. Dopo. Magari. Forse.

Dunque, la nuova manovra ha un approccio claustrale, quasi benedettino. La legge di bilancio 2024 è di 28 miliardi di euro, con coperture in extra deficit per 15,7 miliardi a cui si aggiungono 5 miliardi dai tagli di bilancio, altri 2,5 -2,6 miliardi dalle rimodulazioni di spese anticipate al 2023 e, 4 miliardi risparmiati dal fondo per la riduzione fiscale. Di più, con l’aria che tira non si poteva fare. Eppure, ecco, il riflesso pavloviano a sinistra. Si parte col coté fascistoide del professore Tomaso Montanari latore ditweet in stile “l’utero-è-mio-e-lo gestisco-io”, riferito al contributo per le famiglie inserito in Finanziaria.

 

 

 

IL TWEET DEL PROF

«Noi vogliamo stabilire che una donna che mette al mondo almeno due figli ha offerto un importante contributo alla società», dice Montanari scimmiottando la Meloni, e cita «Anna Maria Cingolani prima deputata italiana: “Il fascismo ha tentato di abbrutirci con la cosiddetta politica demografica considerandoci unicamente come fattrici di servi e sgherri...”». Dopodiché, verso Giorgia la premier «fattrice di servi e sgherri» (ma con un solo figlio, quindi fuori target) si palesa Elly Schlein, a sottolinearne la mancanza di «visione strategica» pur non essendo la segretaria, a livello di strategia, il generale Patton. E Elly critica «l’assenza di misure per dare nuovo slancio all’economia e agli investimenti. E rimarca la carenza di risorse, soprattutto in ambito sanitario e scolastico, che secondo lei, rischia di rendere «vani gli sforzi per migliorare la qualità dei servizi».

E nella medesima critica si produce Carlo Calenda che mette in risalto le manchevolezze del governo su «sanità e scuola», criticando aspramente «l’incapacità del governo di far avanzare il Paese sul fronte industriale e del Pnrr»; nonchè evidenziando un «confronto impietoso con la Spagna». Anche se poi uno –a ben vedere- il confronto lo dovrebbe fare innanzitutto con la Germania e la Francia (L’una in recessione, l’altra col deficit in irresistibile ascesa). Epperò, sfruculiando tra le sacche della manovra, ci si accorge che nella Sanità sono stati piazzati 2,5 miliardi per i contratti del personale più 3 miliardi per le spese sanitarie pure che saliranno fino a 4,2 da qui al 2026, più 600 milioni di indennità in caso del prolungarsi delle liste d’attesa. Al netto dell’aumento dell’inflazione di 10 punti nel 2023 –non addebitabile alla Meloni, spero- nella Nadef non ci sono affatto tagli alla Sanità, anzi quei fondi sono già passati dai 131,1 miliardi del 2022 ai 134,7 di oggi, ai 139 previsti per il 2026: dal 6 al 7,6% del Pil. Non è tantissimo per gli standard Ue, ma non è un taglio, e comunque è più della Spagna (7,3%).

Poi c’è l’opposizione del Psi, di Riccardo Magi, nostalgica di ricordi ludici infantili, «la manovra è un Tetris assistenzialista finanziato in gran parte in deficit»: cioè, l’opposto di ciò che, invece, addebita al governo il verde Angelo Bonelli, il quale rampogna su un «taglio a tutti i servizi pubblici e l’indirizzamento di risorse verso la sanità privata». A costoro si accoda l’ineffabile segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratonianni per cui la Meloni «è un illusionista», criticando «le promesse non mantenute sul cuneo fiscale». Ma, in realtà proprio sul taglio del cuneo contributivo le promesse sono mantenutissime: il taglio sta diventando strutturale, favorisce le famiglie con redditi medio-bassi da 25mila (7%) e 35mila (6%) annui con una media dai 100 ai 260 al mese. Ci sarà un motivo se col governo s’incazza Confindustria. Mentre la sinistra s’incazza perché, al contrario, la destra sociale gli ha tolto l’appannaggio della lotta alla povertà.

 

 

 

TAGLI E CONTROTAGLI

Giuseppe Conte, poi, ha uno scatto meraviglioso. Il capo del M5S bolla la manovra come addirittura «insignificante e dannosa», e mette in luce la mancanza di interventi «contro il carovita e l’assenza di incrementi salariali per i lavoratori». Eppure, restano -ridimensionati- i massicci interventi contro il carovita della manovra scorsa; e gli incrementi salariani persistono in virtù delle meno tasse; e il salario minimo grillino l’hanno bocciato la metà dei sindacati. E inoltre, sempre “Giuseppi”, si preoccupa perla restrizione sul ricorso al pensionamento anticipato, sottolineando che la «promessa di pensioni minime a 1000 euro è stata del tutto dimenticata». E meno male. Quest’ultima proposta da Forza Italia era infattibile; mentre, per le pensioni, si è scongiurata “Quota 41” che avrebbe svuotato le casse dello Stato, a vantaggio della “Quota 104”, un adeguamento della Fornero tanto caldeggiata, negli anni da Pd, Renzi e Calenda.

A proposito di Calenda. Il leader di Azione torna alla carica definendo la manovra «populista e pericolosa», criticando i tagli provvisori di tasse in deficit, che secondo lui, indebitano i cittadini. E ha ragione: i tagli indebitano i cittadini. Però lo stesso Draghi, premier-feticcio di Calenda parlava di «debito buono» e di necessità di alleviare la pressione fiscale. Poi, ecco salire il rumore di fondo della Cgil sulle «ricette sbagliate nelle privatizzazioni», senza, naturalmente, opporre valide alternative nella tutela degli asset strategici. Ma Landini non si preoccupi: da Poste a Tim, gli asset strategici sono tutelatissimi. Anzi, i sindacati dovrebbe godere per la global minimum tax obbligatoria al 15% per i gruppi multinazionali con fatturato superiore a i 750 milioni di euro. Ma, nulla. Non dico un applauso, un flebile assenso, l’ombra di un sorriso... 

 

 

 

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