Mestre, dopo la strage: come prendono fuoco le batterie elettriche
Il volo dal cavalcavia, lo schianto sui binari della ferrovia sottostante, un incendio furioso che ha sicuramente pesato sul bilancio (alla fine si socno contati 21 morti: un’ecatombe). Una tragedia agghiacciante, quella del bus precipitato e poi andato a fuoco a Mestre. A caldo si era detto che il contatto con i cavi della tensione della linea ferroviaria potesse avere innescato le fiamme. Ma la verità è un’altra: il bus che trasportava i turisti a Venezia era a zero emissioni. Cioè 100% elettrico, costruito da un colosso cinese della mobilità “verde”. E le batterie al litio che aveva a bordo (come tutti i veicoli elettrici, incluse auto e moto) sono state quasi certamente la causa scatenante del pauroso incendio che è seguito allo schianto.
COME SI INNESCA
In caso di urto violento (certo non un tamponamento, per intenderci) l’involucro che contiene la batteria o le batterie può perforarsi. A quel punto le sottili membrane che separano le celle con gli ioni di litio si rompono, sversando il liquido elettrolitico, che è altamente infiammabile. L’incendio si estende rapidamente alle altre celle, innescando un fenomeno noto come escalation termica, che si traduce in un incendio le cui temperature possono superare i duemila gradi ed è estremamente difficile e lungo da estinguere. Un esempio: per “spegnere” una Tesla Model S che aveva preso fuoco lo scorso gennaio su una freeway della California, i vigili del fuoco hanno impiegato 45 minuti e 22mila litri d’acqua. Semplicemente perché le fiamme non si estinguevano.
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LA MODALITÀ
«Le batterie al litio a bordo di auto, moto e bus sono protette come se fossero in un caveau, grazie a contenitori molto spessi di alluminio o di titanio» spiega Aldo Ballerini, ingegnere e giornalista specializzato di auto e moto da trent'anni. «Se però si verifica un urto molto violento, e quello subito dal bus di Mestre lo è stato sicuramente, questa “cassaforte” si può perforare. E l’incendio che ne deriva è particolarmente intenso a causa dell’alto voltaggio con cui funzionano questi motori oggi, per ragioni di efficienza e prestazioni». Ballerini, per rendere l’idea, rimarca poi che «soltanto per una moto parliamo di 300 volt, tanto che non solo la batteria ma anche i cavi che conducono l’elettricità dalla batteria alle varie componenti sono totalmente isolati, perché diversamente chi li toccasse morirebbe fulminato». Nel caso di un bus come quello di Mestre le batterie sono molto grandi, perché il mezzo è pesante già di per sé, e lo diventa ancora di più quando è carico di passeggeri, e il voltaggio può arrivare a oltre 800 volt.
I NUMERI DEI ROGHI
Questo non significa che, in seguito a un incidente, i veicoli a batteria si incendino più frequentemente di quelli a combustibile fossile o ibridi. Negli Stati Uniti, agli incendi delle vetture Tesla hanno dedicato un sito (tesla-fire.com) che, aggiornato al 4 ottobre scorso, raccoglie dal 2013 le notizie riportate da tutti i media a stelle e strisce relative a quel tipo di incidente. Scorrendolo, si scopre che in dieci anni i casi confermati di Tesla andate a fuoco sono stati 204 (con 71 vittime). Più di venti all’anno, a fronte di circa 180mila vetture vendute dal costruttore negli Stati Uniti nel solo primo trimestre di quest’anno. Andando oltre il fenomeno Tesla, uno studio di tre anni fa condotto dal National Transportation Safety Board (NTSB), l’ente americano per la sicurezza dei trasporti, attesta che nel 2020 i veicoli elettrici che hanno preso fuoco in seguito a guasto o a incidente sono stati lo 0,2% del totale, a fronte di un parco auto elettrico circolante negli Usa che è paria circa l’1% del totale. Dati su cui riflettere, in un momento in cui si assiste a una corsa perlopiù acritica verso la mobilità elettrica.
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INCIDENTE AEREO
In ogni caso, è certo che le fiamme si innescano con una velocità e una potenza che non ha eguali in mezzi di trasporto dotati di una alimentazione diversa dalle batterie al litio. Quanto queste potessero essere pericolose, in caso di malfunzionamento o surriscaldamento, il mondo lo scoprì, in una fase ancora embrionale del loro utilizzo su larga scala, nel gennaio 2013 quando un Boeing 787 della Japan Airlines parcheggiato all’aeroporto di Boston prese improvvisamente fuoco, per fortuna senza passeggeri a bordo. L’indagine dell’NTSB portò alla conclusione che a innescare le fiamme erano state le batterie al litio che alimentavano il sistema elettrico di bordo mentre l’aereo aveva i motori spenti.
PICCOLE BATTERIE
E chiunque voli non può non aver ascoltato l’invito rivolto dagli equipaggi a segnalare immediatamente al personale di bordo i casi in cui uno smartphone si surriscaldi particolarmente, produca fumo, oppure finisca nello spazio ristretto tra i sedili, condizione che facilmente conduce a un surriscaldamento della batteria. Questo perché incidenti pregressi hanno dimostrato come anche le piccole batterie posizionate all’interno dei nostri telefonini siano sufficienti a innescare un incendio. Relativamente al disastro di Mestre, il comandante provinciale dei vigili del fuoco di Venezia, Mauro Luongo, ha spiegato ieri che «a complicare le operazioni di soccorso sono state le batterie che hanno preso fuoco conseguentemente all’impatto». In loro assenza, forse, la conta dei morti non sarebbe stata così spaventosa.