Superbonus, l'eredità avvelenata: quanti grilli parlanti hanno perso la memoria
Vediamo molti ditini alzati, i soliti primi della classe, sulla Nadef e i numeri che faranno da cornice alla prossima manovra di bilancio. Grilli parlanti smemorati, che sembrano essersi scordati delle loro stesse articolesse di pochi giorni fa, quando non parlavano altro che della voragine aperta nelle finanze pubbliche dalla follia del Superbonus. Se oggi deficit e debito nella Nadef non scendono come dovrebbero è proprio a causa del fardello del Superbonus. Tutti lo sanno, ma ora non fa più comodo ricordarlo, perché bisogna far partire la narrazione del governo Meloni “inaffidabile” sui conti pubblici, sperando così di indurre Bruxelles a legare ancora di più le mani al governo delle “destre”.
Si può criticare il governo per una eccessiva timidezza nel tagliare la spesa improduttiva? Probabilmente sì, ma quella tracciata nella Nadef è una linea prudente, uno 0,7% di deficit aggiuntivo, 14 miliardi, sufficiente per confermare il taglio del cuneo fiscale e per poco altro, ma certo non per dispiegare in pieno la visione di politica economica del centrodestra. Un approccio che mette la responsabilità fiscale davanti agli obiettivi politici della maggioranza, in una certa misura sacrificati nonostante il voto europeo alle porte. È disonesto quindi imputare a questo governo una mancanza di disciplina fiscale senza ricordare quali governi hanno creato e prorogato il bubbone Superbonus. È disonesto non ricordare che proprio Sua Competenza Mario Draghi aveva la possibilità di chiudere con almeno un anno di anticipo la voragine, invece ha preferito tenere incollata la sua maggioranza e uscire dalla sua inconcludente esperienza a Palazzo Chigi con i numeretti in ordine. Mentre con il suo ampio ghigno passava la campanella a Giorgia Meloni, la bomba del Superbonus continuava a ticchettare.
La voragine nei conti non è però l’unica lezione del Superbonus – forse nemmeno la più importante. La vicenda è sintomatica di come il pubblico sia tenuto all’oscuro dell’impatto già oggi devastante delle politiche green. Il Superbonus è un esempio paradigmatico della loro insostenibilità, sia per gli effetti sulla finanza pubblica, sia perla dinamica pro-inflattiva. Se l’adeguamento energetico di meno del 3% del patrimonio immobiliare italiano in meno di 3 anni ha provocato tale voragine nel bilancio e tale impennata dei prezzi, immaginate cosa accadrebbe se dovessimo portare in soli 10 anni, entro il 2033, un numero 10 volte maggiore di immobili, secondo le stime più prudenti, in classe D, come vorrebbe la direttiva case green. Che la detrazione sia al 50 o 110% poco importa, è la cessione del credito che permette di eseguire i lavori a chi non ha il capitale da anticipare o ha un reddito basso, quindi non pagherebbe abbastanza tasse da compensarle con il credito fiscale. Qui il paradosso: più il bonus funziona, meno è sostenibile per il bilancio e per la stabilità dei prezzi.
Non esistono pasti green gratis. Il meccanismo decisivo del suo “successo” è anche causa della sua insostenibilità. Un conto infatti è scalare il credito dalle tasse dovute ogni anno nell’arco di dieci anni. Tutt’altro un credito cedibile liberamente, che arrivato nei bilanci delle banche diventa di fatto un’obbligazione, un titolo di Stato. Nuova emissione di debito pubblico, per di più incontrollabile perché la quantità è decisa da chi ne usufruisce. È quindi una forma di liquidità, di moneta fiscale, stesso motivo per cui i mini-bot restano tabù. Davvero singolare però che nonostante i rischi evidenti per il bilancio e il carattere “eversivo" delle regole monetarie, da Bruxelles e Francoforte non siano arrivati moniti, lettere, pizzini ai governi che hanno introdotto e poi prorogato la misura. Ricorderete lo psicodramma della prima manovra del governo giallo-verde, quando sembrava che da uno 0,4% di deficit dipendessero le sorti dell'Unione. Sul Superbonus nulla, passato liscio. Che il vincolo europeo si allarghi o si restringa a seconda del colore politico dei governi?