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Bce, il rialzo dei tassi? Perché sui titoli di Stato finiamo sotto ricatto

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Sandro Iacometti
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I mercati, per ora, l’hanno presa bene. Piazza affari, spinta dalle banche, ha guadagnato l’1,37%. E di turbolenze sui Btp neanche l’ombra. Anzi, lo spread ha chiuso in calo a 175 punti e il rendimento dei decennali è calato al 4,34% dal 4,45% della vigilia. Gli investitori si sono aggrappati alla speranza, intravista nel comunicato della Bce per quanto smentita da Christine Lagarde («non possiamo dire che ora siamo al picco»), che i tassi abbiamo raggiunto il tetto e che ora la domanda da porsi passi dal quanto al quando. La realtà è che la mossa dell’Eurotower non porterà nulla di buono per l’Italia.

Il decimo rialzo consecutivo dei tassi di interesse, che in un anno ha portato l’asticella a crescere da zero a 4,5%, non potrà che accelerare delle dinamiche già in atto nell’economia del continente e, soprattutto, nella nostra. La manifattura (fiaccata dalla recessione ormai conclamata della Germania) ha già dato segnali preoccupanti nei mesi scorsi, seguita a ruota dai servizi, che hanno tenuto il fiato solo per qualche metro in più.

 

OCCUPAZIONE
A luglio si è invertito, seppure lievemente, il trend assai positivo dell’occupazione e, soprattutto, si è intensificata la stretta sui prestiti, con una flessione complessiva del 2,3% (-4% per le imprese). Il pil, già scivolato dello 0,4% nel secondo trimestre, per Confcommercio è praticamente fermo, portando il profilo della nostra economia «ai limiti della recessione tecnica». La stima di crescita per il 2023 si è quindi abbassata allo 0,8%. Una previsione sostanzialmente in linea con quelle della Ue (0,9%) e con i ribassi «significativi» annunciati ieri dalla stessa Lagarde, che ora vede il Pil della Ue per l’anno in corso ridotto ad uno striminzito 0,7%, all’1,0% nel 2024 e all’1,5 nel 2025. Con un’inflazione che scenderà dal 5,1 al 2,9% nel 2024 per poi attestarsi al 2,2% nel 2025.

PREVISIONI FARLOCCHE
Purtroppo abbiamo imparato già da un pezzo che degli esperti dell’Eurotower ci si può fidare pochissimo. È stata proprio la presidente ad ammettere che la Bce ha visto in ritardo l’inflazione e ne ha sottovalutato la persistenza. Ciò vuol dire che lo sguardo poco acuto potrebbe riguardare anche gli effetti della stretta monetaria, che potrebbero essere ben più pesanti di quelli annunciati. Del resto, madame Lagarde ci ha fatto capire chiaramente che tra recessione e inflazione preferisce sicuramente la prima.

 

Una scelta discutibile di per sè, ma ancor di più per l’Italia, che essendo l’economia avanzata europea con il più alto debito pubblico rischia di trovarsi di nuovo in mezzo alla bufera. E la cosa più preoccupante è che sarà sempre la Bce a dirigere l’orchestra. Meno crescita significa infatti automaticamente più debito. Ma significa anche meno risorse per mettere in piedi una manovra minimamente espansiva senza inciampare nel ritorno delle regole di bilancio della Ue. E qui viene il bello. La situazione sui titoli di Stato, in particolare i nostri, non è finora precipitata non tanto e non solo per la sostanziale fiducia che i mercati hanno nei confronti del governo Meloni e della sua prudenza sui conti pubblici, ma anche perché la Bce, pur avendo chiuso a luglio gli acquisti di titoli di Stato attraverso il programma APP, ha continuato a reinvestire quelli del programma pandemico PEPP.

LA MINACCIA
Ieri ha detto che proseguirà su questa strada per tutto il 2024. Tuttavia un cambio di direzione può arrivare in qualsiasi momento. E per noi è una sorta di pistola puntata alla tempia. Impugnata per giunta da chi, come ebbe a dire qualche tempo fa il futuro governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, citando Battisti, «guida a fari spenti nella notte». Chi sostiene che in caso di pericolo è già pronto il paracadute mente sapendo di mentire. Il famoso Tpi (Transmission Protection Instrument), lo scudo che dovrebbe proteggere gli Stati da eventuali fiammate dello spread, non è un assegno in bianco: per poterlo incassare è necessario il rispetto del “fiscal framework” Ue, l'assenza di gravi squilibri macroeconomici, sostenibilità del debito, rispetto degli impegni presi con il recovery e con le raccomandazioni specifiche della Commissione Ue. L’Italia, ad occhio, non è in regola neanche con uno dei parametri.

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