Euro, un crollo lungo otto settimane: la scommessa che spaventa la Ue
Otto settimane di fila di ribassi. Due mesi durante i quali l’euro si è svalutato del 5% nei confronti del dollaro, scendendo a quota 1,07 sul biglietto verde. Merito della forza dell’economia americana, certo. Ma anche, e forse soprattutto, della debolezza di quella europea. Un dato su tutti: mentre nel secondo trimestre gli Stati Uniti sono cresciuti del 2,1% annuo, l’eurozona ha fatto +0,5%. E il rallentamento della Germania, tradizionalmente il motore della crescita europea e unico Paese del G7 previsto in recessione (-0,3%) quest’anno dal Fondo monetario internazionale, non lascia ben sperare per il futuro. «Fino a pochi mesi fa i mercati si aspettavano che a fine annoi tassi di interesse nell’Eurozona sarebbero stati più alti che negli Stati Uniti. Ora non è più così» spiega a Libero Fabrizio Barini, senior banker di Integrae Sim, «le aspettative sono che i tassi in Europa smetteranno di aumentare».
DIVARI
Già adesso, i tassi sulle due sponde dell’Atlantico sono piuttosto divaricati. Le Fed, che ha iniziato la stretta monetaria nel marzo 2022, in anticipo di cinque mesi sulla Bce, ha portato il costo del denaro in una forchetta compresa tra il 5,25 e il 5,50%, mentre Francoforte al 4,25%. Oltre un punto percentuale in più, dunque, che rende molto più redditizio comprare attività denominate in dollari (come titoli di Stato) e rafforza il biglietto verde a discapito dell’euro. «Questo significa» aggiunge Barini «che il Tresaury rende, per esempio, come il Btp italiano ma con un rating (affidabilità creditizia, ndr) molto più elevato. Di conseguenza la liquidità si sposta sul dollaro e continuerà a farlo anche nei prossimi mesi». Anche perché gli ottimi dati dell’economia americana e del mercato del lavoro, con le richieste per i sussidi di disoccupazione ai minimi da febbraio, aumentano le probabilità che la Fed possa decidere di mantenere i tassi ai livelli attuali, se non più alti, per un periodo di tempo più lungo, aumentando l’appeal del dollaro. Secondo quasi tutti gli analisti, infatti, una riduzione del costo del denaro sarà rinviata alla seconda metà dell’anno prossimo, anche se una pausa durante il vertice del 19-20 settembre appare probabile.
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MAGGIORE PRUDENZA
Al contrario, le ultime notizie deludenti sulla crescita potrebbero spingere la Bce a una maggiore prudenza. «Il mercato sta prezzando una probabilità superiore al 50% che la Banca centrale europea tenga i tassi fermi durante il prossimo meeting» sottolinea Barini. Nel vertice del 14 settembre, Francoforte dovrà destreggiarsi tra l’esigenza di combattere un’inflazione ancora lontana dall’obiettivo del 2% (a luglio +5,3%) e il rischio di danneggiare un’economia in evidente affanno. Deustche Bank si aspetta che il tasso sui depositi, ora al 3,75%, venga lasciato invariato durante la prossima riunione. Di parere opposto invece Bank of America, secondo cui un ritocco da 25 punti base è molto probabile. Di certo, la debolezza dell’euro rischia di rendere il compito della Bce ancora più difficile, dal momento che aumenta i prezzi dei beni importati, soprattutto l’energia. E questo mentre il rialzo delle quotazioni del Brent incrementa le pressioni inflazionistiche sui Paesi importatori. Spinto dai tagli alla produzione decisi da Russia e Arabia Saudita, l’indice di riferimento del petrolio ha sfondato in settimana i 90 dollari al barile.
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