Giuseppe Conte, il buco miliardario che rovinerà gli italiani
Una voragine da 15 miliardi nei conti pubblici. È questa l’eredità del Superbonus 110, la «più grande truffa a carico dello Stato», come lo ha definito la premier Meloni. La maxi agevolazione per le ristrutturazioni edilizie, introdotta nel maggio 2020 quando a Palazzo Chigi c’era Giuseppe Conte, nel corso del tempo si è trasformata in un macigno che ha acquistato velocità fino a diventare una valanga. E questo nonostante gli interventi dell’esecutivo, che ha provato - prima con la legge di Bilancio (con lo sconto sceso dal 110% al 90% per il 2023) e poi con il “decreto cessioni” del febbraio scorso - a frenare la corsa dell’incentivo fiscale. Niente da fare: l’argine non ha retto. E il contatore ha continuato a segnare cifre sempre più alte.
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I NUMERI
Afine luglio, i dati Enea mostravano 83 miliardi di euro di investimenti ammessi al 110 e 67,8 miliardi di detrazioni riconosciute sui lavori conclusi, dai 46,6 del 2022. Una cifra mostruosa che si scaricherà sul debito pubblico man mano che i crediti di imposta verranno riscossi. Ma che intanto grava sul deficit: le agevolazioni per il 110 (e per gli altri bonus edilizi) sono messi a bilancio nell’anno in cui nascono. Insomma, più cresce la spesa per il Superbonus quest’anno, più sarà pesante il peggioramento del disavanzo (ora stimato al 4,5% per il 2023). A impensierire Palazzo Chigi è il fatto che già a fine luglio si sono quasi sfondati i tendenziali del Documento di Economia e Finanza (Def). Come Urano che divora i propri figli, così il Superbonus si è mangiato tutti i margini di bilancio fissati dal governo. Nel Def, il 110 viene contabilizzato sotto la voce “contributi agli investimenti”, capitolo per il quale si prevedono 40,945 miliardi nel 2023.
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Ebbene, nei primi sette mesi dell’anno, le detrazioni maturate per lavori conclusi sono cresciute di 22,9 miliardi. Sempre a luglio, gli investimenti ammessi ma non ancora “scontati” sono invece stati pari a 83 miliardi, mentre quelli per lavori conclusi 67,8: la differenza di 15,2 miliardi (tenuto conto che per alcuni interventi è ancora in vigore il credito al 110% e per altri al 90%) è l’esborso a carico dello Stato. Il totale fa 38 miliardi di euro: una cifra pericolosamente prossima a quei 40,9 miliardi messi nero su bianco nel Def. Certo, non è detto che gli investimenti non ancora scontati (15,2 miliardi) vengano imputati al bilancio di quest’anno: le spese per quei lavori potrebbero essere sostenute anche nel 2024 o nel 2025. Ma il punto di saturazione è ormai raggiunto. Anche perché, tenendo per buone le stime del Ministero dell’Economia secondo cui il Superbonus lievita di 3,5 miliardi di euro al mese, da qui a fine anno il conto salirebbe di altri 17,5 miliardi. Se si continua di questo passo, dunque, la spesa per il 110 toccherà i 55,5 miliardi, ben 14,6 miliardi di euro in più rispetto a quanto previsto dal Def.
Senza contare che in questa voce rientrano anche altre misure: se da solo il Superbonus assorbe tutto il capitolo di spesa, il buco potrebbe essere persino maggiore. Da qui la preoccupazione espressa dal governo, alle prese con la scrittura della manovra per il 2024 e con il ritorno del Patto di Stabilità. «Non possiamo permetterci sprechi, stiamo pagando in maniera pesante il disastro del Superbonus 110» ha detto la premier Meloni durante l’ultimo Consiglio dei Ministri, ricordando che i bonus edilizi introdotti dal Governo Conte II hanno partorito «12 miliardi di irregolarità». Per quanto riguarda la manovra 2024, gli spazi fiscali sono risicati. E non pare nemmeno plausibile lo scenario, ipotizzato dal Corriere della Sera, che ci siano margini aggiuntivi perla finanziaria. Con i nuovi criteri europei di classificazione dei crediti edilizi il governo Meloni ha spostato sul triennio 2020-2022 90 miliardi di deficit che l’esecutivo Draghi aveva spalmato sui prossimi anni, alleggerendo così i conti pubblici dal 2023 in poi. Siccome le stime di disavanzo del Def non sono cambiate, spiega il Corriere, «l’attuale governo si è ricavato uno spazio di 90 miliardi di maggiori spese o minori entrate in più».
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IPOTESI
Un’ipotesi che Ugo Arrigo, docente di Finanza Pubblica all’Università Bicocca, ritiene poco attendibile. «Non è detto che la destinazione siano necessariamente minori entrate o maggiori spese usate dal governo come spazio nelle leggi di bilancio» puntualizza il professore. «Aver lasciato fermo il tendenziale» aggiunge Arrigo, «significa che l’esecutivo ha ritenuto che il differente quadro macroeconomico assorbe di suo quegli spazi». Per avere una fotografia più precisa sui margini a disposizione per la finanziaria bisognerà aspettare il 27 settembre, quando verrà pubblicata la Nota di aggiornamento al Def. Fino ad allora, di certo c’è solo che il Superbonus e i suoi fratelli (a cominciare dal bonus facciate) sono cresciuti a dismisura: nel 2020 si prevedeva un esborso di 72,32 miliardi di euro, mentre adesso la cifra è lievitata a 133 miliardi. L’indiziato principale è ovviamente il 110: doveva costare 36,5 miliardi; ne è costati invece 83. E il conto continua a salire.