Cina, fuga immediata degli investitori: "Vendete", viene giù tutto
Ni hao (ciao, ndr), Cina. Gli investitori fuggono dalla Cina. Stando ai dati diffusi dall’Institute of International Finance, negli ultimi 15 giorni i gestori internazionali hanno già venduto titoli cinesi per circa 3,7 miliardi di dollari. Non è certo la prima volta: una situazione simile (se non peggiore) s’era verificata a fine 2022 quando erano state riversate sul mercato azioni e obbligazioni per un totale di 7,9 miliardi. Allora a causar la fuga era stata la politica “zero-Covid” imposta dal governo per bloccare i contagi.
Ora, invece, il fuggi-fuggi è legato al fatto che in molti iniziano a pensare che il Dragone stia perdendo colpi e che non riesca più a rimettersi in piedi. Ad aggravare la situazione ci si mettono pure i giudizi delle grandi banche d’affari internazionali: molte quelle che sostengono che quest’anno la Cina non rispetterà l’obiettivo di crescita del 5%. E le preoccupazioni sulla traballante Cina hanno ovviamente avuto immediate ripercussioni sui mercati azionari. L’indice MSCI delle azioni dell’Asia-Pacifico (Giappone escluso) è sceso a 495,03, ai minimi dal settembre 2022. E per tentare di mantenere ordine e calma, ecco che i burocrati cinesi le stanno provando tutte per riportare la calma nel Paese e sui mercati. Il premier Li Qiang ha ribadito che la Cina si impegnerà nel raggiungimento degli obiettivi economici l’anno in corso.
A scatenare la crisi è stato il comparto immobiliare. Lo scorso 6 agosto, il colosso del mattone Country Garden ha saltato il pagamento di 22,5 milioni di dollari di obbligazioni. In più ha anticipato di aver problemi anche sui pagamenti di 3 bond riservati al mercato interno lasciando temere un possibile prossimo default. E la crisi del mattone ha messo in crisi pure il colosso dei fondi d’investimento Zhongrong International Trust. «La ripresa sarà un processo accidentato e tortuoso, ma alla fine i critici occidentali saranno smentiti» ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, spiegando che il Dragone «continuerà a essere fonte di forza per la crescita dell’economia mondiale». Tuttavia la fiducia delle imprese è indebolita e gli indici dei prezzi suggeriscono che la Cina è ormai in deflazione. Debole è pure la produzione industriale e infine c’è stato il disastroso annuncio dell’Ufficio Nazionale di Statistica che ha stoppato la diffusione dei dati sulla disoccupazione. Un boomerang incredibile, probabilmente per nascondere i dati reali. Il fatto è che la Cina ha un enorme problema strutturale: è un’economia “fondata” sull’export a cui ora iniziano a mancare i consumi interni. Un bel guaio. Tanto che per sostenere i consumi la Banca di Pechino ha sommerso con 23 miliardi - le banche di liquidità. Basterà?