Inps, la richiesta folle: rivuole un anno di pensione per 30 euro
Due ore e venti minuti. È quasi difficile chiamarlo lavoro, sembra più un impiego momentaneo, un mezzo favore, una mansione tappa-buchi. Anche perché il compenso, parliamoci chiaro, è trenta euro secchi: ci paghi giusto una pizza con dessert e birra media. Dài, su. Un briciolo di onestà. E pure di elasticità mentale.
Sì, perché per quelle due ore e venti minuti con annessi trenta euro di regolare busta paga, adesso, un pensionato di Pordenone, ha perso l’intero ammontare della pensione del 2020, che era di 15.500 euro. Passare alla cassa, riconsegnare il cedolino e grazie: l’Inps (l’Istituto di previdenza) reclama il dovuto, non c’è via di uscita. E d’accordo che la legge è legge, però alle volte servirebbe anche un po’ di flessibilità sennò finisce che lui, il pensionato, rimane col portafoglio vuoto (e ci ha provato, a fare le cose secondo i sacri crismi), ma chi il furbetto lo fa veramente la scampa. È kafkiano, grottesco, al limite dell’assurdo: però è così.
Nel senso che il signor Giuseppe G., che ha 68 anni e vive nel capoluogo del Friuli occidentale, cioè Pordenone, è una vita che lavora nel commercio. È uno attento, uno serio che non gabba nessuno: nel 2019, quando ha maturato più di 42 annidi contributi, ossia quando ha sgobbato per più di 42 anni da cittadino rispettoso delle norme e dei balzelli che ti toccano perché è sistema e nessuno si lamenta, decide di usufruire di Quota 100. Il pensionamento anticipato, quello voluto dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini (Lega) che ti permette di richiedere la pensione se hai almeno 38 anni di contributi e 62 d’età.
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Il signor Giuseppe li possiede entrambi e sceglie di beneficiare della misura perché son fatti suoi e perché ne ha diritto. Tutto bene. Allo sportello dell’Inps che gli bolla la domanda glielo dicono papale: Stia-attento-nei-prossimi-cinque-anni-non-può-fare-alcun-lavoro. E il signor Giuseppe lo tiene a mente, d’altronde è scritto anche nelle carte che ha firmato: Quota 100 non prevede la cumulabilità coi redditi di lavoro dipendente, qualunque ne sia l’ammontare. E quando l’anno dopo, siamo a settembre del 2020, in piena pandemia, un conoscente lo chiama e gli chiede una mano per sistemare alcuni scaffali di un centro commerciale, lui, il signor Giuseppe, se lo ricorda.
Lì per lì dice che non può. È-solo-un-lavoretto. Sì, è vero: ma il signor Giuseppe vuole farlo in maniera corretta (denunciando quel che c’è da denunciare, non è abituato al nero). Allora l’ufficio amministrazione del magazzino che ha tanto bisogno del suo aiuto lo rassicura: c’entra-niente-l’Inps, gli dicono, non-si-preoccupi. Il pensionato si fida (dopotutto è consigliato da gente qualificata, che dovrebbe conoscere i cavilli e le regole e i passaggi burocratici): e poi son solo trenta euro, vuoi avere grane per trenta euro? Ecco, sì. Vengon fuori le rogne per quei trenta euro guadagnati lavorando per due ore e venti minuti nell’arco di tre mesi, che fanno due giornate di un’ora e mezza la prima e di quaranta minuti la seconda.
Ci rimane di sale, il signor Giuseppe, quando a gennaio del 2021 apre la cassetta delle lettere e si ritrova una raccomandata col timbro dell’Inps che gli contesta, nero su bianco, quel lavoretto piccino picciò (e l’annesso incasso piccino picciò). C’è scritto, sulla raccomandata, che dovrà versare allo Stato l’intero ammontare della pensione del 2020. È stralunato, non se ne capacita, ma decide di fare un tentativo: si presenta allo sportello dell’Inps e domanda. Ma-davvero? Non-ci-sono-eccezioni, si sente rispondere. Epilogo, dei giorni nostri: il signor Giuseppe, per i prossimi dieci anni, ripetiamo: per i prossimi d-i-e-c-i anni, subirà una decurtazione mensile sull’assegno di pensione di 180 euro per saldare il debito maturato a causa di quei maledetti trenta euro. La sua pensione, tra l’altro, è di 1.088 euro al mese, non è proprio di quelle d’oro. Così si rivolge a un avvocato che sta studiando “il caso” e si spera possa dargli una mano, ma questo vuol dire che si aggiunge anche una parcella da pagare.