Via della Seta, Giorgia Meloni cambia rotta: schiaffo alla Cina?
All’atteso incontro di giovedì alla Casa Bianca tra il padrone di casa Joe Biden e Giorgia Meloni si parlerà ovviamente dei rapporti tra Washington e Roma, della concreta possibilità di incrementare quei quasi 100 miliardi di dollari di interscambi commerciali che fanno degli Usa il primo nostro partner extra Ue; si discuterà sicuramente di Ucraina, questione sulla quale il presidente Usa ha già espresso apprezzamenti per il nostro governo, e probabilmente anche di Africa e immigrazione. Tutte le attese però, in particolare le nostre, si stanno concentrando sulle reciproche relazioni con la Cina, in particolare sull’uscita del nostro Paese dalla Belt and Road Initiative (Bri) per la quale il nostro governo dovrebbe aver già preso una decisione definitiva, che in sostanza è quella di non rinnovare il Memorandum che lega l’Italia alla stessa.
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LA DECISIONE
L’aspettativa è quella di un possibile annuncio ufficiale entro la fine dell’anno, rispettando i tempi di recessione previsti dall’intesa che si rinnova automaticamente nel marzo del 2024, a meno che appunto non venga data una comunicazione contraria tre mesi prima. Un periodo di tempo congruo affinché l’Italia riceva «garanzie da parte dell’Unione Europea per completare questo percorso senza troppi danni», scrive Repubblica, e affinché il nostro premier riceva dal presidente americano una sorta di lasciapassare, anche a fronte di nuovi cospicui contratti. La possibilità è concreta e tale dichiarazione unilaterale potrebbe perfino arrivare in tempi più stretti. L’Italia d’altronde è l’unico Paese del G7 ad aver aderito alla via della seta (sotto il primo governo Conte nel 2019) e un’uscita per tempo darebbe la possibilità alla Meloni di affrontare la presidenza di turno del gruppo, prevista per il prossimo anno, senza questa macchia politicamente poco opportuna. Se infatti per noi la Bri può anche essere vista come una seria opportunità commerciale è anche vero che per altri, come ad esempio l’Iran, rappresenta la strada maestra per “sconfiggere l’imperialismo americano”, ovvero per aggirare le sanzioni, mentre per la Cina Teheran rappresenta la porta d’accesso del Medio Oriente, una via privilegiata per arrivare anche alle nazioni del Golfo. Insomma, non una cosa di cui un Paese occidentale dovrebbe vantarsi di farne parte, tanto più che, come ha detto Giorgia stessa, con la Cina si possono avere ottimi rapporti senza essere necessariamente parte di un piano strategico.
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LE PERPLESSITÀ
Qualche dubbio, tuttavia, ancora resta. L’incontro di giovedì arriva in un momento in cui il presidente Dem sembra stia cercando di riportare le relazioni con Pechino su binari più amichevoli. Le visite prima del segretario di Stato Antony Blinken, poi di quello al Tesoro Janet Yellen e infine dell’inviato speciale per il clima John Kerry vanno tutte in quella direzione. Perfino e forse soprattutto la visita, accolta con tutti gli onori del caso, di Henry Kissinger è un segnale da non sottovalutare. D’altronde fu lui per primo nel 1972, da segretario di Stato di Nixon, ad inaugurare la cosiddetta “politica del ping pong” e ad aprire la strada dei buoni rapporti tra i due Paesi. Tutto questo fa pensare che Joe Biden possa anche accogliere l’iniziativa del governo italiano con poca euforia e consigliare alla Meloni di attendere, se non addirittura di fare un passo indietro. La sua verosimile preoccupazione è quella di passare per l’artefice di un’iniziativa che a Pechino ovviamente non piace affatto e che è già stata bollata dai media di partito cinesi come scaturita «dalle pressioni degli Stati Uniti e dall'impatto causato dalle lotte politiche interne e dal populismo».
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