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Elly Schlein? "In Italia non funziona": il professor Arrigo stronca il salario minimo

Michele Zaccardi
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«Il tema è complicato e non può esserci una soluzione semplice, che rischia di diventare semplicistica». Da economista liberale – anzi, einaudiano, come si definisce -, dovrebbe vederlo come fumo negli occhi. Ugo Arrigo, invece, non è contrario a priori al salario minimo. Ma l’idea dell’opposizione di introdurre una paga oraria fissata a 9 euro non lo convince. «L’approccio giusto dovrebbe essere pragmatico, mentre mi sembra che la proposta sia stata fatta in modo ideologico» spiega a Libero il docente dell’Università Bicocca.

 

 

 

Professor Arrigo, serve il salario minimo in Italia? 
«Stabilire un livello minimo uniforme su tutto il territorio nazionale e per tutte le categorie di lavoratori sarebbe una scelta sbagliata. Poi non si capisce se, nella proposta, i 9 euro siano lordi o netti. È vero che spesso il mercato non riesce a garantire una retribuzione che consenta una certa tranquillità economica. Non credo però che imporre per legge un salario minimo uguale per tutti sia la soluzione giusta, soprattutto perché il costo della vita è diverso da zona a zona. Lo stesso salario a Milano e a Trapani si traduce in una capacità di spesa diversa».
Che rischi vede? 
«Bisogna assolutamente evitare che un salario minimo troppo elevato possa cancellare posti di lavoro. Introducendo dei parametri tropo rigidi, può darsi che una parte del mercato del lavoro si uniformi e rispetti gli standard più elevati, un’altra, invece, rischia di andare nel sommerso e un’altra ancora di scomparire. Bisogna stare attenti a questi effetti. L’obiettivo, infatti, dovrebbe essere quello di garantire un livello minimo delle retribuzioni un po’ a tutti, mantenendo però i posti di lavoro ed evitando che svaniscano sotto la superficie della legalità».

 

 

 


L’asticella fissata a 9 euro è troppo alta? 
«Siccome è uniforme su tutto il territorio nazionale, la soglia è sicuramente troppo elevata. Credo che l’approccio adottato sia ideologico perché si pensa che, fissando un salario minimo uguale per tutti da Trieste a Trapani, questa soluzione possa funzionare. E poi bisogna capire su quali calcoli si basa la proposta. Andrebbe fatto un lavoro di analisi più accurato. Non è chiaro infatti come si sia arrivati a questa cifra. Inoltre, una volta che la regola è stata introdotta, chi garantisce che venga applicata? E soprattutto chi monitora gli effetti dell’applicazione della norma?». 
Quale potrebbe essere una soluzione? 
«Innanzitutto occorre partire da una panoramica ben precisa del fenomeno, in modo da capire quali aree del mercato del lavoro sfuggono ai contratti collettivi. Inizialmente, il governo potrebbe esercitare una moral suasion sui soggetti che siglano i contratti, magari delegando l’Istat, che calcola gli indicatori di povertà assoluta e relativa, il compito di indicare il reddito mensile minimo che una persona dovrebbe ricevere per poter vivere dignitosamente. Lo stato potrebbe poi rivedere la tassazione su queste figure lavorative ai margini, introducendo, ad esempio, sconti sulle imposte oppure aumentando le soglie di esenzione. Io credo nell’adattamento alle realtà territoriali, settoriali e imprenditoriali. Perché l’impresa, solida, che esiste da molto tempo, è molto diversa dalla giovane impresa che è appena nata. In altre parole, il salario minimo andrebbe differenziato sulla base di tutti questi fattori».

 

 

 


Oltre che ideologico, l’approccio della sinistra al tema è anche dirigistico?
«Io sono per usare gli obblighi soltanto come soluzione di ultima istanza. Ci sono lavori nei quali il salario minimo potrebbe essere facilmente superato giocando sull’orario. Formalmente il datore rispetta quanto stabilito dalla legge, ma in realtà fa fare più ore, che poi non paga e su cui non versa nemmeno le tasse. Insomma, ci sono tanti elementi da considerare, criticità che non si risolvono stabilendo un salario minimo uguale per tutti da un giorno all’altro».

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