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Reddito di cittadinanza cancellato? Aumentano gli italiani a lavoro

Sandro Iacometti
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Occupazione da record, disoccupazione ai minimi storici. Sarà un caso, ma da quando il governo ha iniziato a smantellare il reddito di cittadinanza il lavoro non è mai andato così bene. Diminuiscono i precari, crescono i posti fissi, sono ripartiti persino gli autonomi annichiliti dalla pandemia. Certo, c’è ancora tanto da fare sui giovani (unico dato in controtendenza, su cui bisogna intervenire con decisione), sulla formazione, sull’incrocio di domanda e offerta (la difficoltà di reperibilità delle figure professionali richieste dalle imprese ormai sfiora il 50%), ma le catastrofi annunciate dai fan della mancetta grillina, con buona pace di gufi ed espertoni, non si sono davvero viste. Anzi, i dati che l’Istat da qualche mese continua a snocciolare confermano in maniera abbastanza inequivocabile che lo strumento introdotto dai pentastellati è stato, più di ogni altra cosa (perché la povertà, checché se ne dica, non è diminuita affatto) un formidabile e devastante disincentivo al lavoro.

 


Intendiamoci, il boom delle assunzioni degli ultimi mesi non è tutto merito della riforma del reddito di cittadinanza, che peraltro finora si è limitata a intensificare i controlli e a “costringere” chi hai requisiti a firmare il patto per il lavoro pena la revoca (cosa che prima faceva meno della metà degli idonei per rimanere in un comodo limbo). L’Italia si è trovata negli ultimi mesi in una congiuntura positiva dettata sia dalla ripartenza a razzo del turismo (e più in generale dei servizi) sia dal calo dei prezzi dell’energia. Non ultimo ha pesato l’effetto fiducia. Trovarsi di fronte dopo circa 10 anni ad un governo stabile che ha la possibilità di arrivare a fine legislatura ha spinto le imprese a prendere un po’ di coraggio e a far ripartire le assunzioni, malgrado la gragnuola di colpi che arriva dall’inflazione e dalla contestuale, per quanto poco efficace, raffica di rialzi disposti dalla Bce per combatterla.

 


I NUMERI - Il risultato è che dopo i 500mila posti di lavoro (tutti fissi) registrati nei primi tre mesi dell’anno, ad aprile ne sono arrivati 48mila in più su marzo e 390mila in più sul 2022, mentre a maggio il totalizzatore segna rispettivamente +21 mila e +383mila. Si tratta di una crescita dimezzata rispetto ad aprile (complice la frenata della manifattura e la recessione della Germania che sta trascinando giù tutto il continente) ma sufficiente a raggiungere un nuovo record dell’occupazione, che con quasi 23,5 milioni di lavoratori è ai massimi dal 2004, e un nuovo record positivo della disoccupazione, scesa dal 7,8 al 7,6%, toccando un livello che, se si esclude l’anno orribile della pandemia, non si vedeva dal maggio 2009.
All’interno dei macro numeri platealmente positivi (siamo 424mila occupati in più rispetto al dicembre 2019) ovviamente ci sono dei segnali a cui il ministro del Lavoro Marina Calderone dovrà prestare attenzione. La disoccupazione giovanile dei ragazzi tra 15 e 24 anni è aumentata di quasi un punto percentuale rispetto ad aprile, fino al 21,7%. Il tasso è in crescita anche tra le donne, fino all'8,8%. Ma per gli amanti, vedi Schlein, Conte e Landini, della narrazione secondo cui in Italia per colpa del governo di centrodestra è esploso il precariato, l’Istat segnala che prosegue di gran carriera la stabilizzazione dei rapporti di lavoro: sono ben 451mila in più i dipendenti fissi rispetto all’anno precedente, mentre quelli a termine sono diminuiti (-4,9%) di ben 150mila unità. Un bel problema per l’estate “militante” di Elly.

 

 

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