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Fininvest, "tutto appeso al testamento": rumors, la bomba pronta ad esplodere

Sandro Iacometti
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Il mercato non ha tempo per i sentimenti. Ma le emozioni, quelle contano eccome. In caso contrario sarebbe difficile spiegare la valanga di acquisti che pure ieri è arrivata sui titoli Mediaset, considerato non solo che qualsiasi ipotesi di cessione o di riassetto del gruppo è assolutamente prematura, ma che i primi segnali arrivati in queste ore da Cologno Monzese vanno in tutt’altra direzione. Dopo la nota diramata lunedì da Fininvest, in cui la holding ha spiegato senza giri di parole che «tutte le attività proseguiranno in una linea di assoluta continuità sotto ogni aspetto», ieri è stata la volta di Mediaset. L’amministratore delegato Pier Silvio Berlusconi si è rivolto ai suoi dipendenti dicendo che, anche per onorare la memoria di papà Silvio, bisogna «guardare avanti» e impegnarsi «ancora di più», per «costruire un gruppo ancora più forte e ancora più vivo». Parole che sembrano ben lontane da un’atmosfera di liberi tutti che gli andamenti di Borsa potrebbe far pensare.

 

CAMBIAMENTI Questo non significa, ovviamente, che in futuro nessun cambiamento possa spuntare all’orizzonte. Anzi, ce n’è uno che arriverà automaticamente non appena sarà formalizzata la successione dei beni. Qualunque sia la forma che assumerà l’eredità, in particolare per la quota di un terzo che potrebbe essere assegnata tramite testamento (e che potrebbe fare la differenza nel controllo di Fininvest), un primo effetto della morte di Silvio Berlusconi sarà lo sblocco del vincolo stabilito nel 2014 da Bankitalia sulla partecipazione del 30% in Mediolanum. L’obbligo di scendere sotto il 10% per la perdita da parte del Cavaliere dei requisiti di onorabilità (in seguito alla condanna definitiva per frode fiscale), su cui è ancora in corso una lunga battaglia legale, non avrà ovviamente più senso di esistere. La Fininvest potrà dunque disporre a suo piacimento dell’intero pacchetto che, agli attuali valori di Borsa, vale circa 1,8 miliardi e rappresenta la perla più pregiata del portafoglio di partecipazioni. Anche in questo caso, però, nulla lascia presagire mutazioni di rotta. Intanto perché la quota continua a sfornare ricchi dividendi a cui sarebbe sciocco rinunciare e poi perché appare assai difficile che gli eredi dell’ex premier possano tradire il legame di ferro che univa il Cavaliere al fondatore di Mediolanum Ennio Doris, scomparso nel novembre del 2021. «Sono convinto che non cambierà nulla, perché anche la seconda generazione è molto unita», ha detto senza esitazioni il figlio Massimo, ora alla guida del gruppo.

 

SUCCESSIONE - Per quanto riguarda Fininvest, lo scenario è appeso alla successione. In base a come verrà diviso il 61% in possesso di Berlusconi, infatti, l’assetto proprietario potrebbe presentare due opzioni ben diverse. Nel caso tutte le quote fossero divise in parti uguali i due figli di primo letto, Pier Silvio e Marina, finirebbero col trovarsi in minoranza (con circa il 19% a testa) rispetto alle partecipazioni complessivamente detenute dai figli avuti con Veronica Lario, Barbara, Eleonora e Luigi, che si ritroverebbero con oltre il 58% della finanziaria. Un’eventuale ripartizione testamentaria asimmetrica, invece, potrebbe lasciare a Pier Silvio e Marina il controllo, così come ha finora voluto Silvio. In tutto questo si inserisce la variabile Marta Fascina, la compagna che Berlusconi chiamava moglie. Se dal testamento dovesse spuntare anche il suo nome, in riferimento non a ville od opere d’arte, ma a quote azionarie, la situazione potrebbe complicarsi ulteriormente.

 

I FRANCESI - Dal nuovo assetto proprietario di Fininvest dipenderà, ovviamente, il futuro di Mediaset. Oggi la holding controlla circa il 50% dei voti in assemblea, il che rende di fatto impossibili scalate ostili, come quella tentata nel 2016 da Vivendi, quando la famiglia Berlusconi aveva meno del 40% delle azioni. E sebbene nella lista dei potenziali pretendenti in questi giorni siano comparsi diversi nomi, tra cui Paramount e il gruppo Cairo, è ancora su Vivendi che sono puntati i riflettori.
Il gruppo francese guidato da Vincent Bolloré è il secondo azionista di Mediaset, oggi MediaForEurope, con una quota del 19,8% delle azioni ed il 23,6% dei diritti di voto. Sullo sfondo c’è anche la vicenda della rete unica, visto che Vivendi controlla anche il 23,75% di Tim. Questi due pacchetti, su cui i francesi hanno accumulato pesanti minusvalenze, derivano proprio da due tentativi di scalata tra il 2015 e il 2016, fermati a vario titolo da Agcom, autorità italiane e dagli stessi azionisti. Con il gruppo di Berlusconi, dopo 5 annidi battaglie in tribunale, due anni fa è stata siglata la pace. Le varie cause intentate sono state ritirate. Vivendi ha venduto un 5% a Fininvest, e poi si è impegnata a scendere ancora. Cosa, però, non ancora avvenuta. L’impegno assunto è infatti a un livello minimo di prezzo che non rispecchia i valori attuali. Insomma, soldi, potere e desiderio di rivalsa sembrano motivi sufficienti a far rimettere in moto Vivendi, che fra l’altro stadi fatto bloccando la cessione della rete Tim ritenendo il prezzo delle offerte troppo basso. Ma se il gruppo d’Oltralpe ha avuto difficoltà in passato, c’è da scommettere che ne avrà ancor di più oggi. Il governo ha già fatto capire nei mesi scorsi che non si farà scrupoli ad usare il Golden Power per bloccare offensive straniere sulle aziende strategiche italiane. E trovarne una più strategica di quella fondata dal papà del centrodestra è francamente difficile. 

 

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