Cerca
Cerca
+

Giorgia Meloni e l'economia, "la resa dei gufi": Conte e Letta demoliti

Sandro Iacometti
  • a
  • a
  • a

«Una manovra economica inadeguata e iniqua che non risponde alle esigenze di un Paese in bilico sulla recessione», diceva Enrico Letta lo scorso novembre davanti alla direzione del Pd. «Questa manovra di bilancio accompagna il Paese alla recessione», gli faceva eco Giuseppe Conte più o meno negli stessi giorni. E ora, come la mettiamo? Per carità, Adolfo Urso forse si è fatto prendere un po’ la mano quando ieri ha rivendicato con orgoglio che l’Italia è il Paese che sta crescendo «più di tutti i giganti occidentali». Ma i numeri, piaccia o no, gli danno ragione. Nel primo trimestre l’Eurozona si è fermata allo 0,1%, la Francia allo 0,2%, la Germania è addirittura indietreggiata dello 0,3%, gli Usa non sono andati oltre lo 0,3%, mentre il Giappone ha raggiunto lo 0,4%. E noi, lo storico fanalino di coda del Vecchio Continente per di più guidato da un governo di “incompetenti” (come dice il Nobel Joseph Stiglitz) che pensa solo a difendere l’etnia italiana e a soffocare i diritti? Ebbene, a fine aprile l’Istat ha certificato che nei primi tre mesi dell’anno il Pil italiano è cresciuto dello 0,5%. Uno sbaglio? In effetti sì. Il dato corretto, ha spiegato ieri, è addirittura dello 0,6%. Per avere un’idea di quello che significa basti pensare che se l’Italia da domani si dovesse fermare, alla fine dell’anno, grazie alla crescita acquisita, il Pil segnerà comunque un +0,9%.

 

 

 

Percentuale che non sembra affatto male per un Paese che doveva finire in recessione. E non erano certo solo i “gufi” Letta e Conte a dirlo. A pensare che il Paese avrebbe se non innestato la retromarcia, quantomeno tirato il freno c’erano anche Bankitalia, il Fondo monetario, l’Ufficio studi di Confindustria e vagonate di espertoni. Senza contare i mercati. Solo un paio di mesi fa il colosso bancario Usa Goldman Sachs suggeriva di lasciar perdere i nostri Btp: «Meglio i Bonos spagnoli». Mentre Moody’s, la più arcigna tra le agenzie di rating, spiegava, minacciando un declassamento, che «la crescita lenta e i costi più elevati del debito potrebbero indebolire ulteriormente la posizione fiscale dell’Italia». Anche S&P, pur confermando il nostro rating, parlava senza esitazioni di «decrescita».

Scarsa fiducia nel governo? Stime macroeconomiche sballate, come spesso accade? Profezie in malafede? Forse un po’ di tutto. Stadi fatto che i mesi sono passati. E la recessione non è arrivata. Anzi, pian piano la realtà ha iniziato ad avere la meglio sulle ipotesi (o i pregiudizi). E anche le prospettive sono cambiate. A fine aprile Fitch, confermando il rating, ha portato le stime per il 2023 dal +0,5% all’1,2%. A metà maggio anche la Commissione si è dovuta arrendere all’evidenza, alzando le previsioni di crescita all’1,1%. E alla fine, udite udite, sono capitolati persino i cattivi di Moody’s, che un paio di settimane fa avevano prudentemente rinviato il giudizio sul nostro rating. Ieri l’agenzia Usa ha deciso che continuare a pensare che l’economia italiana nel 2023 crescerà solo dello 0,3% è diventato un po’ surreale. Di qui la nuova previsione dello 0,8%, che resta sotto la crescita già acquisita, ma è comunque un balzo dello 0,5%.

Un miracolo? Il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ieri un po’ spigoloso nelle sue ultime considerazioni finali, si è limitato a sottolineare la resilienza dell’economia italiana dopo la pandemia, la guerra e la crisi energetica e il suo inaspettato stato di salute. Ma se l’Italia cresce molto più delle stime mentre l’economia mondiale, sempre secondo Moody’s, rallenterà dal previsto 2,7% al 2,1%, con frenate significative anche di colossi come la Germania e la Gran Bretagna, qualche riflessione bisognerà pur farla. «È un risultato incoraggiante, che accogliamo con giusto entusiasmo pensando che sia un buon segnale che diamo anche all’Europa», ha detto prudentemente Giancarlo Giorgetti, parlando di «responsabilità e serieta». Ma i buoni risultati di crescita, ha proseguito il ministro dell’Economia, «sono il frutto degli imprenditori e dei lavoratori, veri eroi dei nostri tempi».

 

 

 

 

IMPRENDITORI EROI

Che non è retorica, ma la spiegazione, almeno in parte, di ciò che è accaduto. Se è vero, infatti, come dice Giulio Tremonti, che il pil non si fa per legge, è anche vero che una prospettiva di legislatura stabile, condita dall’attenzione riservata fin dall’inizio da Giorgia Meloni, a chi produce ricchezza, incoraggia gli investimenti, le assunzioni, i consumi. In altre parole, aiuta l’economia a girare. Vedremo nei prossimi mesi e anni se l’equazione continuerà a dare i suoi frutti. Per adesso ci accontentiamo di un quadro favorevole che consentirà in autunno al governo di avere maggiori risorse a disposizione per il taglio delle tasse previsto dalla delega fiscale senza dover rinunciare a tenere in ordine i conti pubblici, che probabilmente è un altro elemento che ha giocato a favore del nostro Paese. Se non altro rispetto agli investitori internazionali e alla comunità finanziaria. A coronamento della giornata di ieri sono arrivati anche segnali positivi sul fronte dei prezzi. A maggio l'inflazione ha rallentato la sua corsa, tornando al 7,6% dopo la breve fiammata di aprile sopra l'8%. La decelerazione, legata soprattutto alla perdita di vigore del caro-energia, perla prima volta ha coinvolto anche il cosiddetto carrello della spesa Una semplice limatura dal +11,6% al +11,3%, ma spendere qualcosa in meno sicuramente alle famiglie non dispiacerà. 

Dai blog