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Banca d'Italia, l'allarme: 52 miliardi di risparmi possono andare in fumo

Attilio Barbieri
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Le famiglie italiane detengono direttamente circa 52 miliardi di «titoli di debito complessi» in crescita di 11 miliardi rispetto al 2021. Si tratta di titoli, rilevala Banca d’Italia, come i certificates e le obbligazioni subordinate At1- balzate agli onori delle cronache a marzo dopo che Credit Suisse aveva azzerato le proprie- che espongono il possessore «al rischio di perdite significative al verificarsi di uno scenario sfavorevole». L’indicazione emerge da una nota diffusa ieri da Palazzo Koch nella quale si ricorda che l’istituto centrale ha il «potere di intervento sui prodotti». Può vietare o limitare la vendita di strumenti finanziari da parte di una banca o altro intermediario alla clientela con l’obiettivo di «preservare la stabilità del sistema finanziario» italiano.


STABILITÀ FINANZIARIA
Nella fattispecie, pur riconoscendo che i rischi per la stabilità finanziaria risultino al momento contenuti, Bankitalia fa scattare però un campanello d’allarme aggiungendo che, comunque, si tratta di titoli rischiosi e che l’aumento dei certificates dello scorso anno, pari a 11 miliardi «è interamente riconducibile agli investitori al dettaglio». A fare il pieno dei titoli più rischiosi sono stati cioè le famiglie che rappresentano i soggetti senza alcun dubbio meno preparati a valutare fino in fondo la rischiosità dell’investimento. Cogliendo i rischi insiti nello strumento. Alla fine di dicembre gli investitori al dettaglio detenevano ancora in portafoglio 37 miliardi di certificates, una cifra «pari all’1% della ricchezza finanziaria delle famiglie», ma tale da mettere a rischio più di un portafoglio individuale. «Alla fine del 2022», annota Via Nazionale, «in Italia erano in circolazione titoli di debito per un valore pari a circa 2.440 miliardi». Di questi, «il 12% (303 miliardi) era rappresentato da strumenti che possono essere considerati complessi. Tra questi strumenti i più comuni erano le cartolarizzazioni, che rappresentavano il 38% del totale dei titoli complessi (115 miliardi), le obbligazioni subordinate (29%, 87 miliardi) e i certificates (17%, 52 miliardi)». Fra l’altro, «nel 2022 si è osservata una contrazione delle obbligazioni strutturate e una crescita sia dei certificates sia delle obbligazioni subordinate Additional tier1», aggiunge Bankitalia.

 

LE PENSIONI DI TIGROS
Ed è proprio notizia di ieri che il fondo pensioni della Tigros, la nota catena italiana della grande distribuzione, ha citato in giudizio la Finma, l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari. La contestazione mossa dalla Tigros assieme a un nutrito gruppo di investitori, è legata proprio all’azzeramento dei 16 miliardi di franchi di bond subordinati Additional tier 1 di Credit Suisse, operazione che ha sì spianato la strada del salvataggio ad opera della concorrente Ubs, ma a farne le spese sono stati gli obbligazionisti. Vittime - è la tesi dei legali di Tigros - di un esproprio che richiede un risarcimento. Mala caratteristica di queste obbligazioni subordinate è proprio questa: i possessori possono essere chiamati a condividere il costo del risanamento dell’emittente. O del salvataggio, come nel caso di Credit Suisse. I numeri dell’ecatombe finanziaria provocata dal default pilotato di questi bond non sono ancora noti. Ma nel caso svizzero sarebbero alcune migliaia le famiglie coinvolte direttamente, almeno secondo le prime indiscrezioni non confermate ma neppure smentite dai regolatori elvetici e neppure dal governo federale.

 

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