Pnrr, trappolone europeo: un colpo basso a Meloni
C’è questo trappolone della bizzarra teoria della relatività dei fondi europei. Questo strano fenomeno alchemico secondo il quale se i progetti del Pnrr li propone quel drago di Draghi passano sulla fiducia; mentre se gli stessi progetti li riprende la Meloni, be’, «richiedono ulteriore approfondimento» ché, poi, non è detto che i soldi ve li diamo, insinua l’Unione Europea.
Ora, è vero che la Commissione Ue – secondo una nota di Palazzo Chigi – «ha sottolineato il proprio apprezzamento per tutte le azioni intraprese dal governo, che hanno già consentito di attestare significativi progressi verso il positivo raggiungimento di quasi tutti gli obiettivi fissati alla data sopracitata». Però è pure vero che, una volta indoratala pillola, la medesima Commissione fa partire la mazzata su tre misure previste tra i target del Pnrr al 31 dicembre 2022. Tre. Tre bersagli scelti bene.
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TRA PORTI E SPORT
Trattasi delle concessioni portuali, «per le quali la Commissione ritiene necessario un ulteriore approfondimento, proponendo di limitarne la durata massima, così come stabilito dal Decreto inviato al Consiglio di Stato il 14 ottobre 2022»; e delle reti di teleriscaldamento, «perle quali la Commissione ha messo in dubbio l’ammissibilità di alcuni interventi, selezionati attraverso la procedura di gara del 30 giugno 2022»; e, infine, dei Piani Urbani Integrati, già approvati il 22 aprile 2022 «per i quali la Commissione ha contestato l’ammissibilità degli interventi relativi al Bosco dello Sport di Venezia e allo Stadio Artemio Franchi di Firenze». Il Franchi, mitico stadio della Fiorentina, prevede una spesa di circa 55 milioni sui 200 complessivi (e senza il ricalcolo dell’adeguamento dei prezzi); mentre per il Bosco dello sport i milioni previsti sarebbero 90. Prima, col governo tecnico, sulla carta erano tenacemente finanziati; ora, con l’esecutivo politico rischiano di essere definanziati. Metti la cera, togli la cera.
Ora non facciamo scherzi, fanno sapere -più o meno- da Palazzo Chigi, rivolti ai burocrati europei: se non volete che rifacciamo lo stadio viola che voi stessi avete già approvato, ok, però con quei fondi che noi consideriamo già allocati gli spendiamo in altro modo. Tra l’altro, si considerino lo spiazzamento, la delusione, l’incazzatura del sindaco di Firenze Dario Nardella, del primo cittadino di Venezia Luigi Brugnaro o del loro collega presidente dell’Anci e sindaco di Bari. Peraltro, seppur per motivi diversi legati a una sentenza del Consiglio di Stato, rischia di non ottenere i fondi Pnrr anche il nodo ferroviario del capoluogo pugliese che smisterebbe il traffico delle futura alta velocità Bari-Napoli. Sicché De Caro arriva oggi a commentare riguardo le vaghezze giuridiche europee: «Se si definanziano progetti come questi peraltro con gare aperte e aggiudicazioni in corso, i sindaci non potranno restare in silenzio: non esiteremo a difendere queste scelte».
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Il sostegno al governo, quando si tratta di soldi e progetti, è assolutamente trasversale tra i sindaci di destra e di sinistra. Giorgia Meloni, rivelano i suoi collaboratori, è abbastanza livida. E, da un lato, comunica ufficialmente che «il Governo fornirà ulteriori elementi a sostegno dell’ammissibilità di tutti questi interventi, in particolare quelli previsti nei Piani Urbani Integrati di Venezia e Firenze. Il Governo continuerà a lavorare in modo costruttivo con la Commissione Europea per garantire il positivo completamento delle attività di valutazione». Dall’altro lato, però, la premier sfrutta la propria autorevolezza internazionale. E telefona alla Ursula Von der Leyen, spiegandole il busillis. La presidente della Commissione l’avrebbe rassicurata: «Cara Giorgia dammi un mesetto di tempo che capisco dov’è il problema...».
Ed è questo il motivo per cui Raffaele Fitto, ministro degli Affari Europei delegato al calvario del Pnrr, si dice «sereno» e spiega che «non ci sono tensioni con l'Europa, le tensioni temo qualche volta si vogliano costruire in Italia. Noi stiamo lavorando con una macchina in corsa con scelte che non sono nostre ma che noi puntiamo a realizzare e superare in questa fase per poi passare alla seconda fase di rimodulazione del programma». In pratica, Fitto dice chiaramente che da qui al 30 giugno è matematicamente impossibile che alcuni interventi possano essere realizzati. Il tutto, nonostante la Corte dei Conti certifichi che siano tutti conseguiti i 55 obiettivi del secondo semestre 2022 (38 potrebbero necessitare di «step realizzativi ulteriori»); e si contempli una «traslazione» in avanti di oltre 20 miliardi complessivi delle spese assegnate al triennio 2020-2022, ossia dal termine del 2026 al 2029.
PICCO DELLA SPESA
Epperò, dopo l’approfondimento su porti, teleriscaldamento e stadi, i magistrati contabili temono altro. Sono 40 i miliardi di risorse complessive del Pnrr stanziati per Comuni e città metropolitane. Ma propri nei Comuni e nelle città metropolitane difetterebbero le professionalità per spenderli: «Le strutture necessiterebbero di un quadro di risorse certo per tutto l’orizzonte temporale del Piano». E, inoltre, si parla di 3000 Comuni che non raggiungerebbero 15 obiettivi, mantenendo 16 miliardi di spesa nel cassetto. Ma non è detto che la situazione peggiori, anzi. Il picco della spesa del Pnrr si avrà nel biennio 2024/2025, ribadisce la Corte dei Conti, e «a termine 2023, nonostante questo recupero, il livello della spesa cumulata dovrebbe rimanere inferiore di quasi 15 miliardi». È una lotta contro il tempo, per i miracoli si stanno attrezzando. Certo, se poi qualcuno dalla farraginosa macchina dei finanziamenti Ue non si lasciasse prendere da schizofrenia, be’, magari aiuterebbe...