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Benzina, doppio gioco sporco a Berlino: come fregano l'Italia

Sandro Iacometti
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Ti pareva. Solo una decina di giorni fa a Strasburgo, galvanizzati dal round vinto contro l’Ue sullo stop alle auto a benzina e diesel a partire dal 2035, si erano seduti allo stesso tavolo i ministri dei Trasporti di ben otto Paesi. Oltre ai quattro artefici dello sgambetto alla direttiva europea (Italia, Germania, Polonia e Bulgaria), anche l’Ungheria, la Slovacchia, la Romania e il Portogallo. Una minoranza di blocco invalicabile. In grado di impantanare la mazzata sull’industria dell’auto almeno fino alle prossimo Europee, quando le carte del potere continentale saranno rimescolate e magari la questione potrà essere affrontata con più pragmatismo e meno ideologia. Vittoria in tasca? Macché. Tra gli otto c’era un intruso. Manco a dirlo la Germania. Che mente flirtava con i ribelli, tesseva la sua rete con il nemico. Sfruttando la rivolta contro l’ossessione green per fare i suoi comodi.

 


DEROGHE
Che Berlino stesse trattando con la Commissione non era un mistero. Che lo stesse facendo per dare una fregatura agli altri, a partire dall’Italia, lo si è capito ieri, quando il cancelliere Olaf Scholz si è presentato al Consiglio europeo dicendo che c’è l’accordo Ue sulle richieste di Berlino, che riguardano nel dettaglio una serie di deroghe agli e-fuel (carburanti sintetici) su cui la Germania ha investito molto e su cui le aziende automobilistiche stanno già iniziando a convertire la loro produzione: motori a scoppio, ma ecologici. Un po’ quello che accade con i bio-carburanti, settore su cui noi siano fortissimi grazie agli investimenti dell’Eni nelle coltivazioni africane di semi e nelle bioraffinerie in Italia. Il problema? Una eventuale apertura agli e-fuel, guarda un po’, è già prevista dal pacchetto originario della rivoluzione green (il Fit for 55), quella ai bio-fuel no. Come spiega Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione e vice anche del green deal, nelle interlocuzioni sullo stop ai motori termici dal 2035 «stiamo parlando nell'ambito dell'accordo. Non stiamo allargando il quadro dell'accordo. L'accordo ha un “considerando” sugli e-fuel.

 

 


Tutto quello che stiamo facendo è essere più espliciti su quale sia il significato del considerando sugli e-fuel. Qualsiasi altra cosa aprirebbe l'intero accordo. Non è di questo che si parla». Insomma, la correzione per la Germania si può fare. Quella per l’Italia no, perché significherebbe ripartire da zero. Una prospettiva che non solo non piace per nulla alla Francia e ad Ursula von der Leyen, ma che ieri è stata considerata sgradita pure dalla presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, solitamente in sintonia con Giorgia Meloni, ma stavolta non disposta a mandare in fumo il lavoro di mesi. La premier è intenzionata a combattere. Ieri, dopo aver discusso della questione anche con la von der Leyen, ha fatto trapelare in tutti i modi che l’accordo «è svantaggioso per l’Italia» e che il governo ribadirà in tutte le sedi, a partire proprio dal Consiglio europeo in corso a Bruxelles, la sua contrarietà.


VOLTAFACCIA
Ma il doppio voltafaccia della Germania restringe di molto le possibilità di successo. Senza Berlino la minoranza di blocco che ha fatto saltare il via libera definitivo della direttiva non avrà più i numeri per il bis. E se martedì prossimo al vertice dei ministri dell’Energia si annuncerà ufficialmente l’intesa con Scholz i giochi saranno praticamente chiusi. Un risultato che non aiuta di certo l’Europa a schierarsi sulle giuste caselle nello scacchiere internazionale. «Ci sono delle tecnologie», ha detto la Meloni, «su cui l’Italia, e dunque anche l'Europa, sono potenzialmente un’avanguardia. E rispetto alle ipotesi di questo tipo decidere di legarsi a tecnologie che invece sono di fatto detenute come avanguardia da nazioni esterne all’Unione è una scelta che non favorisce la competitività del nostro sistema». Anche l’auto, piaccia o no, è geopolitica. 

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