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Fisco, il piano taglia-tasse di Giancarlo Giorgetti

Michele Zaccardi
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Italiani: popolo di poeti, santi ed evasori? A sentire il segretario della Cgil, Maurizio Landini, si direbbe proprio di sì. Questo è «un Paese che sta in piedi con le tasse versate da lavoratori dipendenti e pensionati», ha tuonato un paio di giorni fa durante il congresso del sindacato di riferimento della sinistra.

«E lo dico chiaro: mi sono rotto le scatole di essere sempre io a pagare anche per chi non le paga». Già, peccato però che l’anno scorso lo Stato abbia incassato 98,6 miliardi di euro in più rispetto al 2021, quasi lo stesso ammontare dell’evasione, stimata in circa 100 miliardi di euro. Nasce da questo numero la provocazione lanciata dalla Cgia di Mestre, che in un recente studio ha raccolto tutti i dati relativi alla situazione fiscale del nostro Paese. L’associazione degli artigiani e delle piccole imprese si chiede infatti se, grazie alle maggiori entrate registrate nel 2022, «possiamo affermare di aver azzerato l’evasione?». Certo, si tratta di una boutade, ma che ha pur sempre un fondo di verità. Perché è vero che i 68,9 miliardi di euro di maggiori entrate tributarie e contributive derivano in gran parte dal buon andamento dell’economia e dalla corsa dell’inflazione, che ha gonfiato prezzi e imponibili. Ma è anche vero che l’erario ha recuperato 20,2 miliardi di euro di evasione, mentre altri 9,5 miliardi sono stati ottenuti impedendo frodi ai danni dello Stato.

 

Del resto, negli ultimi anni, complici le innovazioni introdotte tra cui il meccanismo dello split payment e la fatturazione elettronica, l’amministrazione finanziaria ha compiuto notevoli passi in avanti per stanare gli evasori. Sul fronte tasse, interviene anche la delega fiscale licenziata giovedì scorso da Palazzo Chigi.

IN PARLAMENTO
Il testo, che ora passerà all’esame del Parlamento, ridisegna l’intero sistema, nell’ottica di una maggiore semplificazione e di una riduzione del prelievo a carico dei contribuenti. Un tema che non sembra più rinviabile.

L’anno scorso, infatti, la pressione fiscale in rapporto al Pil ha toccato il massimo storico a quota 43,5%. Tuttavia, come spiega la Cgia, partendo dai documenti del Ministero dell’economia e dalle statistiche dell’Agenzia delle Entrate, il record raggiunto non è riconducibile ad un aumento delle tasse. A gonfiare le entrate, cresciute del 9,2% (in valore assoluto 68,9 miliardi), con quelle tributarie che hanno segnato un +10,5% (53,7 miliardi) e quelle contributive +6,4% (15,7 miliardi), sono stati tre fattori. Innanzitutto, l’inflazione che ha fatto salire le imposte indirette (come l’Iva). In secondo luogo, il buon andamento dell’economia e del mercato del lavoro, che ha fatto aumentare i contributi versati e il gettito delle imposte dirette (Irpef e Ires).

Infine, il venir meno delle moratorie dei versamenti introdotte nel 2020 e nel 2021. Inoltre, se si ricalcola la pressione fiscale tenendo conto di una serie di voci contabilizzate come spese ma che in realtà riducono il peso delle tasse (come il “trattamento integrativo”, ex bonus Renzi, da 100 euro), il dato effettivo scende al 41,6% del Pil. Una cifra che, tuttavia, rimane molto elevata. Soprattutto se si guarda alle tasse che gravano sulle imprese.

I PAESI UE 
Nel confronto con i principali Paesi Ue, emerge che la fetta del gettito fiscale a carico delle aziende italiane è molto maggiore rispetto a quella addossata ai loro concorrenti europei. Mentre nel 2020 in Italia tale percentuale si è attestata al 13,5% (pari a 94,3 miliardi di euro di imposte pagate), in Germania era al 10,7% (144, 8 miliardi), in Francia al 10,3% (108,4 miliardi) e in Spagna al 10,1% (41,7 miliardi). Rispetto alla media Ue, la differenza supera i due punti percentuali. Stesso discorso se si guarda alle principali imposte che colpiscono il reddito delle società. 

 

Sommando l’aliquota Ires (24%) e quella dell’Irap (3,9%), le imprese italiane risultano tassate al 27,9%, contro il 25,8% di quelle francesi e il 25% di quelle spagnole. Tra i grandi Paesi, solo la Germania registra un livello superiore al nostro (20,8%). Visti questi numeri, non sorprende che nella delega fiscale sia prevista anche una revisione della imposte che gravano sulle aziende. L’obiettivo è di allineare il nuovo regime dell’Ires a quello della Global Minimum Tax che introduce, dal primo gennaio 2024, un prelievo del 15% a carico delle multinazionali.

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