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Crac Svb, l'ombra di Pechino dietro la banca crollata

Xi Jinping

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Il crac della Silicon Valley Bank ha fatto riemergere negli Stati Uniti e nel mondo intero i fantasmi del 2008. Federico Rampini ha descritto sul Corriere della Sera il meccanismo di questa crisi: “Prima si diffonde la voce tra i clienti della Silicon Valley Bank che l’istituto ha dei guai. Tutti si precipitano a svuotare i conti correnti. Ma nessuna banca tiene così tanta liquidità da poter fronteggiare un ‘assalto agli sportelli’. Deve vendere titoli e aggrava le cose, visto che subisce perdite”.

 

 

Secondo il giudizio di Rampini, l’intervento di Joe Biden e di Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, è stato tempestivo: “Hanno percepito il rischio del contagio. Quand’anche dovessero fallire altre banche, la Fed ha una potenza di fuoco illimitata per riportare la calma. Ogni banca centrale è ‘prestatrice di ultima istanza’ con il dovere di garantire la stabilità del sistema del credito. Quella americana ha una prerogativa in più: può stampare dollari senza limiti visto che questa moneta ha uno status ‘imperiale’, è accettata in modo universale”. 

 

 

C’è anche uno sfondo geopolitico, illustrato da Rampini: “Nella crisi del 2008 la dirigenza del partito comunista cinese si convinse che il capitalismo americano era un malato terminale. Xi Jinping cominciò allora la sua ascesa verso il potere, all’insegna di una restaurazione socialista, statalista e dirigista. Oggi Xi è alla riscossa: ‘firma’ il disgelo tra Iran e Arabia, tenta di presentarsi come mediatore perfino in Ucraina. Ogni segnale di difficoltà del sistema americano è un punto a favore di Pechino”. 

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