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Btp a ruba, gli italiani si fidano di Meloni: gufi a bocca asciutta

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Fausto Carioti
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Capiamo meglio dove siamo adesso se facciamo un salto indietro di qualche mese. Ad esempio al 18 agosto, quando il patriota Enrico Letta disse alla Cnn che la vittoria del centrodestra capitanato da Giorgia Meloni avrebbe comportato un «grande rischio non solo per l’Italia, ma anche per l’Europa». O al 18 settembre, quando Carlo Calenda (l’esponente dell’opposizione che più capisce di economia, e quindi figuriamoci gli altri) scrutò nella sfera di cristallo e avvertì gli italiani e il mondo: «Il rischio che prevedo con un eventuale esecutivo guidato da Giorgia Meloni è di vedere lo spread a quota 400 e di uscire dalle linee europee dei Paesi fondatori». Con frasi così, nelle settimane prima e dopo il voto, ci si potrebbe fare un’enciclopedia a dispense.

 

 

 

Questo genere di arte divinatoria è durato poco, e già nel 2023 non se trova traccia. L’impatto con la realtà gli è stato letale. Come spesso capita, a sinistra confondevano il loro sogno (la Meloni si schianterà subito, perché gli investitori, gli organismi internazionali e le altre cancellerie tratteranno lei e il suo governo come una banda di appestati) con l’epilogo più probabile del corso degli eventi. C’era pure un macroscopico errore di valutazione del personaggio, dietro al vaticino sbagliato: la convinzione che la futura premier, povera di cultura finanziaria e ostile verso i mercati e le istituzioni europee (altrimenti non sarebbe di destra), avrebbe commesso un’imprudenza dietro l’altra. Nulla di tutto ciò è accaduto.

Erano sbagliate le premesse, perché la Meloni si è avvalsa dei consigli di Mario Draghi e ha seguito la linea della responsabilità che era stata del suo predecessore. Ha fatto anche quello che lui avrebbe voluto fare ma non fece, come il ridimensionamento del Superbonus. Il buon senso della “madre di famiglia” applicato alle scelte di governo. E l’esito è quello che si è visto anche ieri, col nuovo collocamento dei Btp Italia, i titoli “anti-inflazione” emessi dal Tesoro. Ne sono stati acquistati per quasi 10 miliardi euro, e la formula ha permesso quello che gli economisti chiamano un risultato “win-win”, vincente per ambedue le parti.

 

 

 

Il risparmiatore avrà per cinque anni un titolo indicizzato all’inflazione italiana, che gli garantirà un tasso reale del 2% e due cedole annuali. Significa che il tasso monetario sarà pari a quello d’inflazione (senza i tabacchi) con l’aggiunta di due punti. Con l’indice dei prezzi in salita del 6%, il rendimento sarebbe dell’8%: buoni “frutti”, quindi. Quanto allo Stato, fa un passo avanti nella riduzione della quota di debito pubblico detenuta da stranieri: «Più Btp nelle mani degli italiani» è una delle missioni che la premier ha assegnato al suo governo.

A fare incetta sono stati soprattutto gli investitori “retail”, ossia i piccoli risparmiatori, le famiglie, che hanno acquistato Btp Italia per 8,5 miliardi di euro: il volto domestico del sovranismo. Tanto più necessario adesso che la Banca centrale europea ha deciso di ridurre la quantità di titoli di Stato, anche italiani, che tiene in portafoglio. E mentre il Tesoro diffondeva questi dati, lo spread tra i Btp e i Bund tedeschi era attorno ai 175 punti, ossia ai valori minimi dal 26 settembre, quando toccò quota 237. Niente di questo sarebbe possibile se non ci fosse una fiducia diffusa nella capacità del governo di condurre una politica economica assennata. Gli italiani comprano i titoli del Tesoro, gli stranieri non li vendono spaventati (tant’è che ne posseggono tuttora una quota vicina al 27%) e lo sganciamento da “mamma Bce” prosegue indolore. La vita va avanti come prima, insomma. E tanti saluti alle cassandre. 

 

 

 

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