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Fisco, rivoluzione-Irpef: il piano, come cambia la tua busta paga

Sandro Iacometti
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Non ostacolare chi crea ricchezza e mettere fine al groviglio di agevolazioni e bonus che a conti fatti produce più iniquità che benefici. Erano questi i due obiettivi annunciati da Giorgia Meloni fin dal suo discorso di insediamento. E sono questi i cardini intorno a cui ruota la riforma del fisco che il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, promette di portare sul tavolo del Consiglio dei ministri già la prossima settimana.

Piatto forte del nuovo sistema, in un’ottica di riduzione della pressione tributaria e di semplificazione, è la riduzione da quattro a tre degli scaglioni di reddito previsti dall’Irpef. Nel solco di quanto già operato dal governo Draghi, che aveva portato da cinque a quattro le aliquote (23, 25, 35 e 43% al posto di 23, 27, 38, 41 e 43%), nel tentativo di rendere più equa e gestibile la principale imposta dello Stato.

L’orizzonte della riforma è ovviamente quello, se non della flat tax, dell’assottigliamento massimo delle aliquote, sulla scorta del formidabile ed ineguagliabile esempio degli interventi tributari di Ronald Reagan negli Usa degli anni Ottanta a cui in Italia un decennio dopo si era ispirato Silvio Berlusconi, con alcuni tentativi effettuati da Giulio Tremonti che però non sono mai andati in porto. Ma siccome, come ha detto ieri il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, intervenuto insieme a Leo ad un convegno dei Dottori commercialisti, la priorità è quella di tenere i conti in ordine, si procederà per gradi. E provvedendo ad individuare per ogni passetto compiuto in avanti le adeguate coperture.

 

Per recuperare il mancato gettito che deriverà, almeno in una fase iniziale, perché l’effetto curva di Laffer (piaccia o no ai suoi detrattori) è sempre in agguato, soprattutto in un Paese con un’elevata pressione fiscale come l’Italia, si interverrà sulla giungla di detrazioni e detrazioni al cui interno oggi non riescono più a districarsi neanche i professori di diritto tributario. Gli sconti fiscali, ha spiegato Leo, sono attualmente oltre 600 e «cubano circa 156 miliardi» di minori entrate. «Là si può intervenire», ha detto il viceministro, «se si fa una revisione attenta si possono trovare le risorse per calibrare meglio le aliquote». Con l’obiettivo collegato, non trascurabile, di disboscare una foresta di adempimenti e di norme divenuta ormai ingestibile. Come diceva Ezio Vanoni negli anni 50, «una legislazione caotica e ispirata a finalità demagogiche ha aggravato notevolmente il fenomeno dell’evasione fiscale».

 

Il terreno, manco a dirlo, è minato. Ci sono agevolazioni, come quelle sanitarie, che ad esempio non si possono toccare. E anche mettere le mani sull’Irpef non è uno scherzo. In ballo ci sono 205 miliardi che valgono quasi la metà delle entrate tributarie complessive (544 miliardi). Ma il tentativo del governo è quello di una riforma strutturale, che in Italia non si vede da oltre 50 anni. Il pacchetto che sarà presentato in cdm dovrà riordinare «tutto il sistema tributario». Non solo Irpef quindi, ma anche interventi sull'Ires (riducendo il prelievo a chi investe e assume), sull'Iva e su altri tributi minori, alcuni dei quali, ha precisato Leo, «si possono anche eliminare», rendendo più coerente l'ordinamento italiano con «le regole dell'Unione europea e internazionali». L’altra gamba della riforma riguarderà il rapporto con i contribuenti. Perché solo «con una logica di collaborazione» con chi le tasse le deve pagare, ha detto il viceministro, «si può ridurre il tax gap» che viaggia da 20 anni tra i 75 e i 100 miliardi. In barba alle false promesse di chi dichiarava guerra all’evasione fiscale.

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