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Superbonus, il buco giallorosso nei conti rischia di scassare i prossimi bilanci

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Sandro Iacometti
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Il governo ci ha messo una pezza. Ma la bomba innescata da Pd e Cinquestelle con il superbonus, che tra l’altro come ha calcolato ieri la Cgia è servito a riqualificare solo il 3% degli immobili italiani alla modica cifra, per ora, di 71 miliardi, potrebbe esplodere lo stesso. Ed è questione di giorni. Come ha spiegato a metà febbraio il direttore statistiche di Finanza pubblica di Eurostat, Luca Ascoli, durante un’audizione al Senato dedicata proprio alla classificazione contabile dei crediti d’imposta per l’edilizia, «una decisione deve essere presa a breve, in quanto l’Istat deve pubblicare entro il primo marzo i dati del 2022».

La decisione ci dirà quanto «scellerata», per dirla alla Giancarlo Giorgetti, sia stata la mossa del governo giallorosso, che si è ben guardato dal valutare le conseguenze del maxiregalo sulla casa. In occasione delle precisazioni di Ascoli il fronte pentastellato, con la grancassa del quotidiano amico Il Fatto Quotidiano, si è affrettato a cantare vittoria, spiegando che il Superbonus non impatterà sul debito. Tecnicamente la rivendicazione grillina non fa una grinza. La questione dei crediti d’imposta, infatti, riguarda il momento in cui il governo deve registrare la detrazione come una spesa.

Non è un problema di indebitamento dunque, bensì di scostamento tra entrate e uscite annuali, ovvero di deficit. Ma è un po’ come distinguere la zuppa e il pan bagnato. Se i bilanci si chiudono in rosso, infatti, i saldi vanno a gambe all’aria e il debito sale comunque.

 

Al di là dei cavilli contabili, il rischio che si prospetta è che il nuovo criterio di classificazione introdotto da Eurostat lo scorso primo febbraio, secondo cui i crediti che possono essere ceduti (come quelli per le agevolazioni edilizie) devono essere considerati “pagabili” (vanno subito iscritti a bilancio e non possono essere spalmati sugli anni previsti per la detrazione) si abbatta retroattivamente sui conti del 2020, 2021 e 2022, riversandosi quindi a cascata anche sul 2023. Non è ancora certo che la bufera prenda forma.

E la fretta con cui si è mosso il ministro dell’Economia fa pensare che un’interlocuzione con l’Istat abbia suggerito di intervenire subito cancellando la cessione dei crediti proprio per mettere al riparo il pregresso, per fare in modo che le nuove regole si applichino solo per il futuro.

Ma se così non fosse, c’è il macigno delle detrazioni complessive dell’edilizia di 110 miliardi (che a gennaio sono già diventati 120) pronto a schiantarsi sui bilanci dello Stato. Il risultato potrebbe essere devastante. Secondo alcune stime fatte dal giornalista del Corriere della sera, Federico Fubini, il deficit/pil del 2020 potrebbe essere corretto al rialzo dal 9,5 al 10%, mentre quello del 2021 schizzerebbe vicino al 9% rispetto al 7,2% certificato ad oggi dall’Istat. Come una valanga che si ingrossa scendendo, l’effetto domino nel 2022 porterebbe il rapporto del deficit all’8% del pil rispetto al 5,6% indicata dalla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza.

Percentuali che come primo effetto farebbero svanire nel nulla quei 9 miliardi utilizzati dal governo per gli aiuti sulle bollette sfruttando proprio lo spazio di bilancio concesso dallo scostamento tra la vecchia previsione del deficit al 5,6 e quella che si è registrata alla fine dello scorso anno del 5,1%. Insomma, il famoso tesoretto lasciato da Draghi si trasformerebbe di colpo in deficit aggiuntivo da coprire in qualche modo o da caricare sul debito. Solo in questo modo si possono salvare i saldi del 2023, che forse non verrebbero intaccati sul fronte del deficit (fissato dal governo al 4,5 rispetto ad un tendenziale del 3,4%), ma registrerebbero sicuramente una frenata del percorso di discesa dell’indebitamento ipotizzato dal ministro dell’Economia dal 145,7 dello scorso anno al 144,6%.

Forse è anche per questo che Giorgetti all’ultimo Ecofin ha posto con forza la questione delle nuove regole del patto di Stabilità, invocando maggiore flessibilità sugli investimenti e pretendendo che il tema sia discusso contestualmente a quello sul piando industriale green dell’Europa. Dal prossimo anno, infatti, la tagliola Ue delle regole di bilancio tornerà a far sentire la sua lama. E se i criteri non terranno conto delle situazioni specifiche di ogni Paese, come ha espressamente chiesto il ministro, per l’Italia potrebbero essere dolori. D’altro canto, è difficile che tra le situazioni specifiche possano essere annoverate le scelte politiche di due partiti come i Cinquestelle e il Pd, quest’ultimo tra l’altro che si erge a paladino della finanza pubblica prudente e responsabile contro la destra sfasciaconti, che hanno apparecchiato una tavola per gli italiani piena di prelibatezze fregandosene del fatto che non sarebbe stata gratis.

 

Il pasto è già costato agli italiani 2mila euro di debito aggiuntivo a testa, come ha spiegato Giorgetti. Si tratta ora di capire se questi 2mila euro oltre che pesare sulle generazioni future metteranno anche a rischio la capacità del governo di intervenire in aiuto delle imprese e delle famiglie, annullando gli spazi di bilancio. In questo modo con la bravata del Superbonus si configurerebbe il suicidio perfetto del Paese, costretto a stringere la cinghia per aver rimesso a nuovo il 3% degli immobili. Tra cui non poche ville di quei poveracci che svernano in Costa Smeralda.

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