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Cina, la mano di Xi Jinping dietro lo stop alle auto a benzina?

Alessandro Gonzato
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Dice, Marco Bonometti, ex presidente di Confindustria Lombardia, numero uno del gruppo industriale Officine Meccaniche Rettazatesi, «che viene il dubbio che ci sia stata una pressione delle lobby cinesi, a favore della mobilità elettrica». «L’Europa e l’Italia», sottolinea Bonometti, il cui gruppo industriale è specializzato nella componentistica per automobili, «sono da sempre leader nell’endotermico, i cinesi hanno scelto l’elettrico e ora vogliono controllare anche la tecnologia dei motori a scoppio». È una decisione tanto autolesionistica, quella dell’Ue, che è impossibile non avere il sospetto che dietro ci sia qualcosa in più dell’incapacità di proteggere le nostre produzioni, miliardi di fatturato e centinaia di migliaia di posti di lavoro, oltre 600mila secondo le ultime stime. L’eurocamera ha deciso definitivamente lo stop alla vendita di veicoli nuovi a benzina e diesel a partire dal 2035, quando i concessionari potranno proporre solo auto elettriche, totalmente “green”, il che metterà in ginocchio anche questo settore. Nelle stesse ore dell’annuncio da parte di Bruxelles, Ford ha informato il taglio di 3.800 posti di lavoro in tutt’Europa.

Jaguar-Land Rover ne aveva già previsti altri 4.500. La Cina detiene già il 60% della produzione mondiale di auto elettriche, più del 60% delle batterie in circolazione è prodotta in Cina e una su tre è prodotta dallo stesso gruppo, Catl. Cinque dei 10 maggiori produttori di auto elettriche sono cinesi: Saic-Gm-Wulings (424mila nel 2021), Byd (323mila), Great Wall Motors (136mila), Gac Group (129mila), Saic Motor (125mila).

 

 

IDEOLOGIA GREEN - Il presidente di Federauto, Adolfo De Stefani Cosentino, rimarca che la decisione dell’Ue non farà altro che avvantaggiare «i competitors internazionali, principalmente cinesi», e che «è evidente che l’abbandono del diesel e della benzina in un lasso così breve di tempo non andrà a vantaggio né dell’industria né dell’indotto, tantomeno dei consumatori italiani ed europei che già stanno sopportando un aumento dei prezzi consistente.

Servirebbe un approccio più graduale, pragmatico, ma soprattutto meno ideologico», aggiunge il presidente di Federauto. Negli ultimi anni, come ha evidenziato Libero, la Cina è diventata uno dei Paesi che ha invitato con più frequenza a Pechino gli eurodeputati.

 

 

Tutto lecito, chiariamo, ma in tempi di Qatargate basta poco per un retropensiero. Perché tutto questo interesse? Matteo Salvini, ministro dei Trasporti, avverte: «L’integralismo ideologico dell’elettrico è un suicidio per l’Italia. O i sostenitori del “tutto elettrico”, che purtroppo ci sono anche in questo parlamento, ignorano le conseguenze, o da parte di qualcuno a Bruxelles, e non mi stupirebbe visto quello che è accaduto nelle ultime settimane, c’è malafede». L’Italia, spiega il collega agli Esteri Antonio Tajani, «rischia di perdere 70mila posti». Il commissario Ue all’Economia, il dem Paolo Gentiloni, sottolinea che il total-green è «un obiettivo deciso già due anni e mezzo fa», aggiunge che «sarà verificato nella sua fattibilità», ma il 2035, per i produttori, è domani. La Cina è la nazione che inquina di più al mondo, se ne frega delle norme-green Ue, ed è pronta a colonizzare anche il mercato dell’auto. 

 

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