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Bce, Panetta contro Lagarde: "Guida a fari spenti"

Sandro Iacometti
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Nella guerra tra falchi e colombe della Bce spunta a sorpresa Lucio Battisti. A far entrare il mito della canzone italiana nel dibattito, caldissimo, sulle linee di politica monetaria ci ha pensato ieri Fabio Panetta, il membro del direttivo che per alcune settimane in autunno veniva dato in pole position per ricoprire l’incarico di ministro dell’Economia e che ora sembra impegnato, al fianco del numero uno di Bankitalia, Ignazio Visco, a frenare gli ardori di chi vorrebbe proseguire a testa bassa la lotta all’inflazione a colpi di rialzi del costo del denaro. Una posizione che per ora sembra essere maggioritaria all’interno del board dell’Eurotower.

 

 

 

Dopo l’annuncio di mercoledì della stessa presidente Christine Lagarde che a marzo arriverà un altro bell’aumento dello 0,5%, ieri nel bollettino mensile della Banca centrale europea (che tra l’altro invitava i governi a togliere subito gli aiuti sull’energia, visto il calo dei prezzi) si leggeva che Francoforte «continuerà ad aumentare i tassi in misura significativa a un ritmo costante e a mantenerli su livelli sufficientemente restrittivi» per riportare l’inflazione al 2%. Ed è qui che si inserisce la metafora, abbastanza eloquente, di Panetta, che ieri intervenendo al National Institute of Economic and Social Research di Londra ha preso in prestito le parole di “Emozioni” (puntualmente tradotte in inglese) per dare l’idea di cosa la Bce non dovrebbe fare. In una fase economica piena di incertezze, ha spiegato l’economista, «quello che non vogliamo è “guidare come un matto di notte con i fari spenti”». Un modo garbato per dire che la Bce sta perdendo la bussola. Per Panetta, infatti, «i rischi per le prospettive di inflazione sono ora più equilibrati rispetto al momento delle proiezioni di dicembre. Il contesto economico sta cambiando. Gli shock dell'offerta hanno iniziato a invertirsi, con i prezzi delle materie prime energetiche e alimentari in calo rispetto ai picchi dello scorso anno e le strozzature dell'offerta che si sono allentate».

 

 

 

Mentre gli effetti della stretta monetaria devono ancora farsi sentire. E «dopo molti anni di bassa crescita, far precipitare l'economia in una recessione su vasta scala potrebbe innescare una distruzione permanente della capacità produttiva e danneggiare le future opportunità di lavoro, soprattutto per i membri vulnerabili della società. Anche se successivamente corretto, un simile inasprimento sarebbe molto costoso». In questo scenario «prendere una direzione in piena velocità» potrebbe essere fatale. Meglio andare avanti, ha suggerito il membro del direttivo, «modificando i tassi con gradualità, procedendo a piccoli passi» (quindi con incrementi dello 0,25%), magari anche, perché no, fermandosi. Solo in questo modo si potranno scongiurare i rischi di una «stretta eccessiva» e si potranno adottare «strategie monetarie orientate al medio termine in grado di adattarsi ai mutamenti del quadro economico». Insomma, l’idea che la Lagarde, trascinata dai falchi, possa mandare la nostra economia a gambe all’aria non è così folle come qualcuno voleva farci credere qualche mese fa quando anche il governo, di fronte agli annunci minacciosi della presidente, si era permesso di sollevare dei dubbi. Resta da capire se il fronte delle colombe avrà la forza di far riaccendere i fari.

 

 

 

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