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Formigoni: i numeri dell'economia ci raccontano un Paese forte

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A una settimana dalle elezioni nelle due più importanti regioni italiane, Lombardia e Lazio, facciamo il punto sullo stato dell’economia italiana, sapendo che sempre più l’elettore contemporaneo guarda al proprio portafogli nel decidere per chi votare. I dati appaiono fortemente e sorprendentemente positivi, tanto più se confrontati con le previsioni pessime di quasi tutti gli istituti di analisi formulate un semestre fa.

Vediamo in dettaglio. Il Fondo monetario internazionale ha detto che la crescita italiana, nel 2023, sarà superiore a tutte le ultime previsioni, passando da una stima, di ottobre, pari a meno 0,2 per cento a una stima di oggi pari a più 0,6 per cento. Banca d’Italia ha detto che negli ultimi due anni l’Italia ha creato qualcosa come un milione di nuovi posti di lavoro, con un’accentuazione della crescita negli ultimi mesi. L’Istat pochi giorni fa ha affermato che il tasso di occupazione in Italia non è mai stato così elevato, raggiungendo il 60,5 per cento, e che la crescita delle retribuzioni contrattuali nel 2022 è stata pari a un più 1,1 per cento. Non solo: l’aumento delle esportazioni italiane verso i Paesi extra Ue, nonostante la guerra, ha registrato un più 20,2 per cento, mentre la diseguaglianza in Italia, misurata attraverso l’indice Gini, è passata dal 30,4 per cento al 29,6 per cento, e il rischio di povertà è passato dal 18,6 per cento al 16,8 per cento.

Questi ultimi dati sulla diseguaglianza e sull’indice di povertà segnalano ancora l’esistenza di un problema grave per molte famiglie italiane, ma indicano comunque un miglioramento. Ancora una volta, insomma, l’economia reale italiana si mostra più solida di molte analisi. E di molte economie concorrenti, dal momento che il più 3,9 per cento dell’economia italiana con cui si è chiuso il 2022 doppia il più 1,9 per cento tedesco e supera nettamente il 2,6 per cento messo a consuntivo dalla Francia.

Certo, il futuro è anche costellato di rischi, dai possibili sviluppi della guerra in Ucraina, alle conseguenze ancora in parte da decifrare nella ridefinizione delle catene del valore colpite dalla guerra e dalla crisi pandemica cinese, alla battaglia da proseguire contro l’inflazione. Ma viene finalmente dissipata quell’ombra di emergenza perenne che ha fin qui gravato sulla politica economica, e i catastrofisti di professione dovrebbero prendersi un periodo di silenzio. Tutto merito del governo? Evidentemente no, ma una parte del merito se la guadagna pure la conduzione equilibrata dei conti, la politica di collaborazione con l’Europa e l’apertura verso nuovi mercati, soprattutto energetici.

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