Pensioni, il regalo ai magistrati: quello a cui il governo deve ripensare
Togliere soldi a tre milioni di pensionati, tagliando la rivalutazione dei loro assegni, non è una necessità contabile, ma una scelta politica. Rinunciarci, mantenendo i saldi invariati, è possibile. Lo si può fare, ad esempio, cancellando un altro provvedimento inserito in manovra, quattro pagine più in là: quello che introduce l'«emolumento accessorio una tantum» destinato a tutti gli statali, ma che finisce per regalare cifre importanti e difficili da giustificare a categorie già molto ben remunerate, come magistrati e alti dirigenti pubblici. La legge di bilancio prescrive che quel bonus sia presente in ogni busta paga mensile del 2023, tredicesime incluse: non proprio «una tantum», dunque. E non è nemmeno poca cosa: secondo le simulazioni fatte dal Sole-24 Ore, si va dai 20,8 euro lordi al mese del ministeriale meno pagato ai 152,3 euro che faranno felici i dirigenti delle Autorità indipendenti e ancora più su.
Se per i travet a basso reddito l'intervento si spiega con la necessità di aiutarli a reggere l'urto del carovita, la motivazione "solidaristica" non può valere per le fasce alte del pubblico impiego, dove girano buste paga annuali superiori ai 170mila, talvolta anche ai 190mila euro lordi, che saranno premiate con le cifre più importanti. Infatti, mentre l'inflazione morde soprattutto i redditi medi e bassi, l'aumento previsto dalla manovra è "lineare": identica percentuale per tutti, «nella misura dell'1,5 per cento dello stipendio». Per chi ha gli stipendi più alti, significa qualche migliaio di euro in più.
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SQUILIBRI EVIDENTI
La busta paga degli statali non è composta dalla sola parte stipendiale: in molti casi hanno un peso importante altre voci, legate alla posizione e (almeno in teoria) ai risultati ottenuti, e su queste componenti l'aumento non dovrebbe esserci. Ma gli squilibri sono comunque evidenti. Assegnare un bonus pari all'1,5% degli stipendi comporterà, ad esempio, che il magistrato medio nel 2023 incasserà 1.812 euro lordi in più, mentre per gli alti dirigenti delle autorità più importanti (l'Antitrust, la Consob, l'Anticorruzione...) l'omaggio sarà di 1.980 euro. Ancora meglio andrà ai magistrati amministrativi: per loro, in media, l'una tantum annuale varrà 2.262 euro. Cifre non comparabili con quelle dei dipendenti pubblici ordinari, che col loro stipendio lordo tra i 24 e i 28mila euro non andranno oltre un bonus annuale di 420 euro, ossia di 32 euro al mese.
Tutto questo peserà sui conti del 2023 per 1,8 miliardi di euro, 1 miliardo dei quali a carico dello Stato centrale e il resto degli enti locali. È la stessa cifra che il Tesoro risparmierà sui trattamenti pensionistici. Rivalutare solo dell'80 per cento gli assegni compresi tra le quattro e le cinque volte il minimo Inps (che è pari a circa 563 euro), e via via sempre di meno con l'aumentare della pensione, consentirà infatti allo Stato di avere in cassa 2,1 miliardi in più. Di questa cifra, poco meno di un miliardo servirà a coprire le maggiori spese per rimpinguare le pensioni minime, per finanziare "quota 103" e così via. Ciò che avanzerà, all'incirca un miliardo, è proprio la cifra di cui il Tesoro ha bisogno per pagare l'«emolumento accessorio» dei dipendenti pubblici. Facile dire, con un po' di malizia, che il taglio delle indicizzazioni delle pensioni serve a finanziare il "regalino" agli statali.
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LA MANINA INTERESSATA
Non tutti, nella maggioranza, apprezzano il provvedimento. La cui paternità, raccontano, è degli uffici del ministero della Pubblica amministrazione, guidato dal forzista Paolo Zangrillo. Ma se è arrivato lì, sul testo della legge di bilancio, vuol dire che non è dispiaciuto ai Fratelli d'Italia, dove nei confronti dei dipendenti statali hanno sempre avuto un occhio di riguardo, e che ha passato l'esame del ministero dell'Economia, retto dal leghista Giancarlo Giorgetti. È forte, peraltro, il sospetto che quella formulazione sia dovuta proprio a qualcuno dei dirigenti che ne avrebbero il massimo beneficio. I politici chiedono agli uffici tecnici di scrivere una norma che difenda il potere d'acquisto dei dipendenti pubblici, e l'alta tecnocrazia ministeriale sforna un articolo di legge che la avvantaggia più di ogni altra categoria: non sarebbe la prima volta che accade.
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