La Germania adesso ci piccona: il diktat che gela le nostre tasche, che cosa ci aspetta davvero
Per far capire che senza il suo assenso in Europa non si va da nessuna parte, la Germania ha gettato sul piatto della bilancia il suo peso politico. E ha frenato su tutti i dossier aperti allo scopo di mitigare le conseguenze della guerra. Dopo aver bocciato la proposta americana di imporre un tetto al prezzo del petrolio, ieri Berlino si è opposta alla stessa misura sul gas. Questo mentre è tramontata l'ipotesi di sostenere la ricostruzione dell'Ucraina con un riedizione del piano pandemico.
«Se c'è qualcuno che sta prendendo in considerazione di rifare di nuovo qualcosa come il Next Generation Eu, allora la risposta non può che essere no», ha dichiarato il ministro delle finanze tedesco, Christian Lindner. Dunque, niente debito comune per aiutare gli ucraini. Così come, almeno per ora, non ci sarà un'emissione di bond per sostenere i Paesi europei, che si dovranno accontentare degli stanziamenti del Recovery Fund, varato un anno fa e ormai già vecchio. Non solo. Parlando da Bonn, dove si è svolto il G7, Lindner, ha ribadito che il tempo dei sostegni all'economia è finito. La crescita va rafforzata, ha sottolineato, «tornando a politiche fondate sul mercato, non si tratta di inventare cose con soldi pubblici». Il falco tedesco ha anche agitato lo spauracchio delle regole di bilancio. «Dopo tre anni di espansione» delle finanze pubbliche «è il momento di uscirne non fornendo ulteriore stimolo della domanda» ha aggiunto. L'obiettivo è l'azzeramento del deficit: «Dobbiamo avere in Germania un equilibrio di bilancio dal 2023».
INFLAZIONE - Per questo il ministro tedesco si è dichiarato contrario anche a una proroga della sospensione del Patto di stabilità, sospensione che negli ultimi anni ha consentito di sostenere famiglie e imprese, iniettando denaro nelle economie martoriate dalla crisi pandemica. «I dati non forniscono alcuna evidenza della necessità di continuare» su questa strada, ha detto Lindner. Una posizione in aperto contrasto con quanto prevede di fare la Commissione europea che lunedì dovrebbe varare una moratoria delle regole di bilancio per tutto il 2023.
Ma il ministro tedesco ha anche tirato in mezzo la Francia e l'Italia, dicendo che entrambi i Paesi «sono impegnati a ridurre la spesa pubblica».
Un richiamo al rigore, in altre parole. Anche perché tra i vari problemi che si affastellano c'è pure l'inflazione, che in Germania vedono come fumo negli occhi. Ad aprile la crescita dei prezzi ha raggiunto il 7,4%, il valore più alto dalla riunificazione. E così Lindner ha rimarcato la necessità di riportare l'inflazione al 2%.
Chiamando in causa anche la Bce: «Le banche centrali sono indipendenti ma hanno anche molta responsabilità in tempi come questi».
L'auspicio del ministro è che Francoforte assuma un atteggiamento più intransigente nei confronti dell'inflazione, alzando i tassi di interesse più volte quest' anno. A fargli eco è stato il governatore della Bundesbank e membro del Consiglio direttivo della Bce, Joachim Nagel, anche lui presente al G7 di Bonn. Con la fine degli acquisti netti di titoli fissata per giugno «un aumento dei tassi di interesse potrebbe avvenire a luglio» e altri rialzi «potrebbero seguire» ha dichiarato il banchiere centrale.
Joe Biden travolto dai supermercati: "Perché per lui è finita", il disastro che costa la fine?
VISCO E I TASSI - Sulla stessa lunghezza il governatore di Bankitalia. «Con le aspettative a medio termine di un'inflazione al 2%, possiamo alzare i tassi già nel corso dell'estate» ha detto Visco.
Insomma, la Germania si sta mettendo di traverso, come ai tempi di Merkel. E a farne le spese è il nostro Paese. Le parole di Lindner, infatti, non sono passate inosservate sui mercati, con il rischio Italia che è tornato a salire, nonostante la presenza di Draghi alla guida del governo. Lo spread, il differenziale dei rendimenti tra i titoli tedeschi e quelli italiani, ha chiuso a quota 205 punti base, in aumento del 4,2% sul giorno prima. Del resto con un debito che sfiora il 150% del Pil, il nostro Paese è più esposto di altri alle perturbazioni, come sottolineato dal Fondo Monetario giovedì. E in un contesto di tassi in crescita, e con il ritiro dei sostegni della Bce, il pericolo di una crisi finanziaria si fa più concreto.