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Metano, così la Germania ha fregato l'Ucraina

Michele Zaccardi
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Se c'è un Paese che si sta dimostrando il ventre molle d'Europa nel sanzionare la Russia di Vladimir Putin, quello è la Germania. Gli interessi dei due Paesi, del resto, sono da sempre convergenti. Nel corso degli anni Berlino ha perseguito un obiettivo ben: diventare l'hub europeo del gas. E se non fosse stato per la guerra in Ucraina ci sarebbe riuscita. I dati sono cristallini: insieme all'import di gas, cresciuto da 72 a 136 miliardi di metri cubi tra il 2000 e il 2020, è aumentato anche l'export, nello stesso periodo da 5 a 55,6 miliardi di metri cubi. Numeri che rendono la Germania il settimo esportatore mondiale di metano, nonostante la produzione interna sia scarsa (4,6 mld nel 2021). Per avere un'idea dei benefici che sono derivati ​​alle imprese è sufficiente guardare come crescere è il loro giro d'affari. I ricavi di Gascade gestore di una buona parte della rete tedesca - che dal 2006 a 2011 hanno oscillato sui 340 milioni di euro - nel 2019 sono arrivati ​​a 872,7 milioni. Ancora meglio ha fatto Gazprom Germania: il fatturato è aumentato da 5,56 miliardi di euro nel 2008 a 21,4 mld nel 2019. Insomma, le scelte dei governi tedeschi hanno contribuito a ingrassare i conti delle imprese.

 

 

KIEV MESSA AI MARGINI - Ma il vero problema della politica tedesca è che ha aiutato, con il beneplacito della Commissione Ue, la Russia a raggiungere il suo obiettivo: marginalizzare l'Ucraina. Se negli anni '90 - inizio 2000 dal Paese transitava il 90% del gas russo diretto in Europa, nel 2021 la percentuale si è ridotta al 26%. Il tutto grazie a una rete di gasdotti costruiti per tagliare fuori l'Ucraina dalle vie del metano, prima attraverso il Nord Stream 1, che collega la Russia con la Germania, e poi l'Opal e l'Eugal, che arrivano in Cecoslovacchia. L'Opal, attivo dal 2011, doveva servire ad aumentare i flussi in arrivo da Nord Stream 1. Secondo le regole europee, però, il gasdotto non poteva funzionare ne pieno regime: il rischio era che Gazprom approfittasse. Perciò, fino al 2016, Opal ha funzionato una capacità dimezzata. In quell'anno, la Commissione acconsente all'incremento dei volumi: da 43,8 mld di metri cubi che transitavano per Nord Stream, si arriva a 58,7 mld nel 2018, addirittura oltre la capacità del gasdotto (55 mld).  A sanare la controversia è stata una decisione della Corte di giustizia Ue del settembre 2019 che ha stabilito che la decisione di Bruxelles viola il «principio di solidarietà energetica» sancito dai Trattati. Il blocco dell'Opal, a capacità dimezzata, non ha però danneggiato Gazprom che ha dirottato i flussi nel gasdotto Eugal, parallelo a Opal e operativo dal gennaio 2020: Nord Stream nel 2019 e 2020 ha pompato 58,5 e 59,3 mld di metti cubi.

 

 

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