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Mismatch tra domanda e offerta di lavoro, Italia ultima (in Europa)

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In tutta Europa è l’Italia il paese con il più basso tasso di occupazione under 40 (32%, rispetto alla media del 41%). Il 15,7% dei giovani fino a 29 anni non è impegnato in un percorso di istruzione o formazione e non si offre sul mercato del lavoro. E’ un primato che ci porta in cima alla classifica dei 27 paesi dell’Unione, con il più alto tasso di disoccupazione.  

E’ anche il paradosso di questi tempi: al “giusto protagonismo” delle micro e piccole imprese nella ripresa post-pandemia della domanda di lavoro, soprattutto di quelle che hanno raccolto la sfida della digitalizzazione e della transizione ecologica, si contrappone una marcata difficoltà di reperimento di personale.

Professioni e imprese denunciano livelli allarmanti di disoccupazione. Un focus di Fondazione Studi Consulenti del Lavoro spiega le cause della mancata corrispondenza tra domanda e offerta, che affonda soprattutto i “pandemials”, i quali - per accezione prestata dal World Economic Forum - sono “giovani adulti nati dopo il 1997”, dotati di “grande coscienza ecologica, forti valori etici e notevole padronanza del digitale”. Hanno un elevato livello di istruzione, leggono e analizzano ogni informazione per verificarne la veridicità. Ma sono disoccupati.

Restano schiacciati da numeri più che negativi anche i “NEET” (giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano, non seguono percorsi formativi): passano dal 22,1% nel 2019 al 23,3% nel 2020.

Nel focus CdL - “L’emergenzialità della questione giovanile” - è messa a sistema la scarsa offerta di formazione tecnica (116 e non più sono gli ITS sul territorio nazionale) con le criticità che le nostre aziende incontrano in fase di reclutamento e le basse retribuzioni in ingresso dei giovani.

Soluzioni? Rinnovare il sistema di formazione dei lavoratori definendo, contestualmente, un sistema nazionale di certificazione delle competenze che garantisca ai singoli di mettere in trasparenza le esperienze di apprendimento ottenute; investire in formazione tecnica, a livello secondario e terziario, per avvicinare l’offerta di lavoro.

I dati indicano che stage, tirocinio e apprendistato possono essere strumenti di raccordo tra momento formativo e mondo del lavoro, anche in una visione prospettica di rilancio e consolidamento di vantaggi competitivi e duraturi per l’Italia.

Viene stimato urgente investire nella promozione delle competenze STEM e nell’istruzione professionale per creare profili facilmente assorbibili dal mercato, rendere più competitive le nostre aziende e invertire la pericolosa tendenza che vede crescere tanto i NEET quanto il ricorso ai sussidi pubblici.

Confartigianato ha recentemente mostrato come i giovani siano stati colpiti in misura maggiore dalla crisi pandemica, responsabile di aver amplificato le criticità del mercato del lavoro. I trend di lungo periodo – leggiamo nel testo del Documento di Osservazioni presentato in Senato il 10 marzo scorso – stimano che le imprese richiederanno nei prossimi anni il possesso di competenze green e digitali di importanza sia intermedia che elevata. I dati di Confartigianato: il 60% delle assunzioni nelle micro e piccole imprese (MPI) richiede competenze digitali; il 52% competenze matematico-informatiche; il 36% skills nelle tecnologie 4.0.

Sarà necessario, sul versante dell’occupazione giovanile, superare le criticità strutturali del nostro Paese Italia: il mismatch tra le competenze richieste dal mondo del lavoro e le competenze acquisite nel sistema educativo, la carenza nelle competenze STEM, le basse percentuali di raggiungimento di titoli di studio secondari e terziari, non ultimi i preoccupanti livelli di abbandono precoce degli studi
Snodo fondamentale sarà il Pnrr, nella misura in cui la formazione è chiamata a svolgere un ruolo centrale nel rilancio della crescita e nel recupero della competitività.

In particolare, il Piano Nuove Competenze, trasversale rispetto ai programmi che vi si collegano (GOL, Sistema Duale, Fondo Nuove Competenze), può contribuire a delineare un quadro comune per la formazione professionale in Italia. Dove resta disomogeneo il suo sviluppo, come disomogenee sono le azioni dei diversi attori coinvolti nel sistema della formazione professionale. Serve un cambio di prospettiva.

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