Embargo, un suicidio: ecco come Mosca fa ancor più soldi, Ue polverizzata dal Cremlino
L'embargo sul petrolio russo, oltre a essere deleterio per i Paesi europei, rischia di non togliere nulla alle casse di Vladimir Putin e potrebbe addirittura renderle più ricche, almeno nel breve periodo, quello che coinciderà con la fase cruciale della guerra. È il risultato dell'analisi fatta dal Bruegel, il più europeista dei "pensatoi" di Bruxelles (tra i suoi ex presidenti ci sono Mario Monti e il francese Jean-Claude Trichet, che guidò la Banca centrale europea dal 2003 al 2011). Non siamo davanti a una tesi destabilizzante ispirata dal Cremlino, insomma, ma a un lavoro al di sopra di ogni sospetto. Il progetto di Ursula von der Leyen prevede di ridurre in modo graduale, sino a farle cessare entro sei mesi, le forniture di greggio russo via oleodotto e via nave, e di terminare entro la fine dell'anno gli acquisti dei prodotti della raffinazione del petrolio. Questo allo scopo di far pagare a Putin «un prezzo, alto, per la sua brutale aggressione».
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Il primo effetto di queste parole è stato un balzo delle quotazioni del barile, salite del 3,5%. Potrebbe essere solo l'inizio. È il grande timore della segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, che da giorni mette in guardia gli alleati europei e ieri è tornata sull'argomento: «La decisione dell'Ue di tagliare le importazioni di petrolio russe potrebbe far aumentare i prezzi del petrolio, bisogna vedere con quali condizioni verrà realizzata questa scelta». Il piano annunciato era nell'aria da giorni e il 2 maggio l'istituto Bruegel aveva avvisato le istituzioni e gli Stati europei: «È tutt'altro che l'opzione migliore. Ridurre a zero nel tempo gli acquisti di petrolio potrebbe lasciare elevati i ricavi russi, comportando nel frattempo diverse conseguenze negative a breve e lungo termine per la Ue». «Paradossalmente», avvertiva il think tank belga, «un simile embargo potrebbe addirittura tradursi in una vittoria per la Russia, almeno nel breve termine, e in una perdita per l'Unione europea e per l'economia mondiale in generale».
LA TRAPPOLA DELLE ASPETTATIVE - È una questione di aspettative. Già ora, chi compra petrolio prevede una riduzione delle esportazioni russe, e dunque della quantità di greggio sul mercato. Anche se a Mosca faranno di tutto per trovare nuovi acquirenti, una struttura come l'oleodotto Druzhba, capace di trasportare 1,4 milioni di barili al giorno dal cuore della Russia sino all'Austria e alla Germania, non si rimpiazza in pochi mesi. E se il petrolio diventa un bene più scarso, il suo prezzo aumenta. La tendenza al rialzo, ricorda il pensatoio, è iniziata già alla fine di aprile, quando l'ipotesi dell'embargo Ue è diventata concreta. I prezzi più elevati non solo aggravano la condizione dei Paesi importatori, ma, «quel che è peggio, potrebbero persino sovracompensare la Russia per la graduale perdita di volumi». Il pericolo, in altre parole, è che l'aumento dei prezzi, nei mesi che ci separano dal distacco definitivo, sia più che proporzionale rispetto al taglio degli acquisti. Se le cose andranno così, in questo periodo i Paesi europei pagheranno di più per avere meno petrolio, e Putin incasserà più soldi pur vendendone meno. E siccome il greggio, da quando sono state introdotte le sanzioni finanziarie, è «un'ancora di salvezza vitale per l'economia russa e una fonte di finanziamento cruciale per la guerra», chi spera di fermare in tal modo la macchina bellica di Mosca rischia un'amarissima delusione.
IL GAS NATURALE - Non bastasse questo, prosegue il Bruegel, l'introduzione graduale delle misure darà alla Russia «il tempo di sviluppare nuove strategie di esportazione del petrolio, rendendo l'embargo meno efficace». Ulteriore problema, l'eventualità che Mosca reagisca «tagliando le forniture di gas naturale alla Ue. Le recenti interruzioni delle forniture alla Polonia e alla Bulgaria dimostrano che questa possibilità non deve essere ignorata». L'Europa è dunque disarmata, resa impotente dalla dipendenza dal petrolio e dal metano russi? Non proprio. Una reazione più intelligente, secondo il pensatoio brussellese, sarebbe stata l'introduzione di una «tariffa punitiva» su tutte le esportazioni russe di greggio, prodotti petroliferi e gas. Un simile dazio non incapperebbe nei problemi che si sono visti e «ridurrebbe immediatamente le entrate russe», lasciando comunque a Mosca un incentivo sufficiente per continuare a vendere i propri idrocarburi ai Paesi occidentali. Si è scelta invece l'altra strada.
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