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Se le imprese chiudono fallisce l'Italia. L'analisi dell'imprenditore Andrea Pasini

 Andrea Pasini

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Due anni di pandemia e due mesi di guerra hanno trascinato il nostro Paese in una situazione drammatica. Sul fronte lavoro, specie per le piccole e medio imprese, l’Italia è quasi sotto la soglia minima di dignitosa sopravvivenza. 

I motivi che ci hanno portato a questa situazioni sono molteplici e non hanno soltanto a che fare con accadimenti straordinari. Negli ultimi 20 anni, ad esempio, lo Stato italiano ha aumentato il gettito fiscale del 40%; sempre più persone vanno in pensione, si prevede infatti che un milione di dipendenti pubblici cesseranno di lavorare entro il 2030 e si continuano a fare assunzioni pubbliche in servizi non essenziali con una media del 15% di occupati oltre i 50 anni di età a causa di una erronea richiesta di competenze.

C’è chi non ha le competenze necessarie e chi ne ha troppe. Un gioco al massacro per chi ha studiato e che finisce inevitabilmente davanti a un bivio: tuffarsi nel mondo del rischio privato o andare via dall’Italia.

Io sono Andrea Pasini un imprenditore di Trezzano Sul Naviglio e vorrei sottolineare come tutti conosciamo molto bene il problema della «fuga dei cervelli», soffermandomi un attimo su quelle persone coraggiose che decido di diventare imprenditori e si trovano a fare i conti con il credito bancario, la chance concrete di interazione sociale e la capacità effettiva di spesa pro capite dell’italiano medio. 

Ogni imprenditore si trova di fronte un concorrente sleale che non viene dall’esterno, ma da chi dovrebbe garantirti le migliori condizioni per il tuo successo. Lo Stato che dà licenza per fare impresa dovrebbe responsabilmente costruirmi un habitat per cui l’unica concorrenza a cui far fronte dovrebbe essere quella del mercato. Lo Stato non deve diventare sconveniente e insostenibile per i privati ai quali sembra non si voglia garantire la dignità dell’utile.

Cosa dovrebbe fare allora? Non c’è solo una via, ma molteplici. Prima di tutto investire correttamente i soldi del Pnrr può permettere alla istituzioni di operare in snellezza e fluidità. Non solo, può anche aiutare ad aprire il fisco a rottamazione e saldo e stralcio condizionati ma sistemici per recuperare imprese e forza lavoro cadute in difficoltà affiancando la riforma seria del mondo tributario e della giustizia. 

Lo Stato dovrebbe inoltre fare norme semplici, chiare, senza infiniti rimandi e che abbiano forme di tecnicismo limitate al necessario. Infine, gli ultimi mesi hanno mostrato la necessità di reinventare il prima possibile la politica d’importazione energetica tanto quanto quella di importazione in base alla diversificazione merceologica.

Tutte queste soluzioni devono però partire da una nuova consapevolezza da parte prima di tutto del Legislatore e poi dei cittadini. Dobbiamo essere responsabili delle nostre scelte e del nostro futuro e intervenire sulle ferite del Paese perché il peso del carico sulla macchina è diventato insopportabile. 

Le imprese sono il cuore pulsante dell’Italia. Vanno tutelate, salvaguardate, protette, aiutate, sostenute nella crescita e bisogna permettergli di poter fare utili perché possano crescere sane e robuste finanziariamente e abbiano la possibilità di investire in tecnologia e sviluppo creando sempre più occupazione . Dobbiamo continuare a lottare e spingere le istituzioni a lottare con noi per migliorare concretamente la situazione perché ciò che succederà se rimandiamo ancora è molto semplice e di facile comprensione: se le aziende chiudono, chiude l’Italia.

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