Guerra e crisi economica, Giulio Tremonti contro Mario Draghi: "Ha ignorato gli allarmi", tutte le colpe del premier
Impossibile chiedere a Giulio Tremonti, uomo di cultura vasta e profonda, un giudizio prêt-à-porter sui guai italiani ai tempi della guerra in Ucraina. «Dobbiamo tornare indietro al 2008, quando è la globalizzazione è entrata in crisi», avverte subito.
Il professor Tremonti, grande nemico della globalizzazione.
«Nel magico mondo di Wikileaks ho trovato un documento confidenziale dell'ambasciata americana a Roma. Nell'ottobre del 2008 informava il Dipartimento di Stato che "Tremonti ha sempre espresso profondi dubbi circa i benefici della globalizzazione, sostenendo una filosofia economica piuttosto eclettica". La filosofia ortodossa si era appena schiantata con Lehman Brothers e i mutui subprime».
Quando quel castello di carte crollò, scoppiò un duro scontro internazionale, con lei protagonista.
«Col governo Berlusconi ho proposto il Global legal standard: un trattato di regole sull'economia per passare dal "free trade", il libero commercio, al "fair trade", il commercio corretto. Contro la nostra proposta era schierato il Financial stability board, secondo il quale non servivano regole per l'economia: sarebbero bastati alcuni criteri per la finanza, ovviamente scritti dagli stessi finanzieri».
Il presidente del Financial stability board era Mario Draghi.
«Così pare».
Vinsero lui e gli altri.
«Dopo la crisi creata dalla moneta falsa dei mutui subprime, la globalizzazione è stata tenuta in vita artificialmente stampando altro denaro dal nulla. Questo ha causato lo spostamento dell'asse del potere dai parlamenti e dai governi alla finanza. Vuole un'immagine iconografica?»
Prego.
«Francoforte, tre anni fa. Davanti al duetto Lagarde-Draghi, i capi di Stato e di governo, in platea, applaudono. Lei se li immagina Adenauer, De Gaulle, Cossiga e Andreotti applaudire?». Applaudire dei banchieri? Difficile.
«I loro successori lo hanno fatto. Un sistema simile poteva stare in piedi solo per magia e per follia. Se vuole un'immagine elegante, ce la dà Thomas Mann ne La montagna incantata. Il dialogo tra il massone Settembrini e il gesuita Naphta (anche se a volte il cumulo delle due cariche non è vietato) finisce ipotizzando che la creazione di denaro si distacchi dalla realtà e divenga l'anima dello Stato, fino a che non è raggiunta la "completa demonizzazione" della vita».
Ci siamo dovuti accontentare della pandemia.
«Che è stata la rottura finale del software della globalizzazione. Gli effetti non sono stati solo sanitari, ma anche mentali, sociali e politici. Come nella torre di Babele: l'uomo sfida la divinità costruendo la Torre verso il cielo, la divinità si vendica e gli toglie la lingua unica. In questo caso, la pandemia gli ha tolto il pensiero unico».
Anche la guerra in Ucraina è per lei una conseguenza della fine della globalizzazione?
«Non ci vedo un rapporto diretto, ma una relazione c'è. Le ragioni della guerra risalgono almeno al 2014: se è scoppiata solo nel 2022 è perché nel frattempo, anche a seguito della pandemia, si è rotto l'"ordine" artificiale della globalizzazione. Si sono liberate forze che erano state per così dire ibernate e la Storia si è ripresentata nella sua configurazione tradizionale: la guerra».
Le sanzioni sono inutili?
«Le sanzioni funzionano al meglio quando il loro annuncio basta a produrre un effetto di deterrenza. Non è questo il caso, anche perché sono state introdotte a guerra in corso. Sono sanzioni di ritorsione, non di deterrenza».
Anche di persuasione. Sono state introdotte per fare pressione sulla popolazione russa e allontanarla da Putin.
«I russi sono 146 milioni, ma solo 18 milioni vivono nella parte metropolitana, a Mosca e San Pietroburgo. Il resto è immerso in una campagna sconfinata. L'impatto delle sanzioni è tanto forte sulle città e sulle masse metropolitane, quanto inefficace sulla popolazione rurale. Tra l'altro, finché i russi esporteranno gas, avranno soldi per finanziare la guerra».
Noi italiani aspettavamo la ripresa. Abbiamo avuto la guerra, il decollo dei prezzi e una probabile nuova recessione.
«Non è corretto attribuire alla guerra tutto quello che oggi si sta vedendo nella nostra economia. Quasi tutti i fattori di crisi erano infatti già presenti nell'ultimo trimestre del 2021, la guerra li ha solo radicalizzati. I prezzi di tutte le materie prime erano già in salita: dal petrolio al legno alla ghisa. Stesso discorso per l'energia».
Eppure il quadro disegnato dal governo Draghi prima della guerra, nella finanziaria varata a dicembre, non aveva tinte fosche. Tutt' altro.
«Questo perché, invece di gestire i problemi che già si stavano presentando, come sarebbe stato suo compito, il governo ha preferito fuggire dalla realtà. Lo dimostra proprio quella irresponsabile legge finanziaria, che prevede spesa clientelare ovunque e contiene errori evidenti».
Ad esempio?
«Hanno stanziato 8 miliardi di euro per gli sgravi fiscali al ceto medio e solo un miliardo e mezzo sulle bollette, ma era chiaro da subito che quest' ultima cifra avrebbe fatto ridere. Tanto che a gennaio hanno dovuto fare un altro decreto per calmierare le bollette, e poi un altro ancora».
Distacco dalla realtà, dice. Come se lo spiega?
«Me lo posso spiegare solo col fatto che fosse una finanziaria "espansivo-quirinalizia" e per questo delegata dal governo al parlamento. La realtà è diversa: davanti alla bolletta, al carrello della spesa e alla pompa di benzina, non siamo tutti uguali. Alcuni pagano di più. Le conseguenze sono drammatiche anche in termini sociali».
Fallita l'"operazione Quirinale", però, la linea di Draghi è cambiata.
«Prima, nell'intervallo tra l'elezione del presidente della repubblica e la guerra, c'è stato l'annuncio della fine delle politiche espansive. Poi, con lo scoppio della guerra, le politiche espansive sembrano di nuovo tornate. Una sana discontinuità, diciamo così».
Draghi ha proposto anche un Recovery plan di guerra. Altro debito, per rafforzarci militarmente.
«La conversione degli "austeristi" in "debitisti" è impressionante. Nel 2011 ci scrissero da Francoforte chiedendo di anticipare il pareggio di bilancio. Adesso, dopo il Recovery plan per la pandemia spunta quello per la guerra. Il passaggio da un eccesso a quello opposto non è segno di equilibrio».
Che idea si è fatto della riforma fiscale disegnata dal governo?
«Che è totalmente sconclusionata. Non si capisce cosa voglia ottenere dal punto di vista quantitativo, essendo a parità di gettito. Sotto l'aspetto qualitativo, vuole introdurre una fiscalità progressiva per il reddito da lavoro e proporzionale per il reddito da capitali, che mi pare una "avanzata" idea di sinistra. Non bastasse questo, è anche una riforma rinviata».
Nel senso?
«Nel senso che siamo a fine legislatura e il governo, di fatto, sta chiedendo deleghe, cioè poteri, che userà il prossimo governo, sentito il prossimo parlamento. Ci si potrebbe domandare se sia corretto, almeno in termini di principio, che una delega concessa oggi possa essere ereditata da un altro esecutivo, che lavorerà con un altro parlamento. La riforma del catasto dovrebbe essere pronta nel 2026: tenendo conto dei tempi tecnici, è fondata l'ipotesi che a definirla sia non il prossimo parlamento, ma addirittura, con doppio salto, quello successivo».
Non condivide l'obiettivo di allineare gli estimi catastali ai valori di mercato?
«Il governo non ha estimato che una massa enorme di case è presa a mutuo. Non si può avvicinare il valore fiscale di una casa al valore reale, ignorando che questa non appartiene davvero al contribuente finché non ha finito di pagarla».
In ogni caso, il governo si dimetterà se la riforma del catasto non sarà approvata come l'ha scritta il ministro dell'Economia. Con la guerra alle porte, opporsi significa essere accusati di irresponsabilità.
«Il baratto catasto-guerra è roba da sindrome da bunker. La responsabilità consiglia di concentrarsi sull'essenziale, non di approvare qualunque cosa chieda il governo».
Quale sarebbe un intervento essenziale?
«Vogliono fare qualcosa per la gente? Abbattessero temporaneamente le imposte sui combustibili. Anche perché tutti questi rincari non erano stati stimati e quindi non ci sarebbe perdita di gettito da coprire. La Ue, sovrana dell'Iva e in parte delle accise, dovrebbe uscire oggi con un comunicato contenente non il solito "bla bla bla", ma l'annuncio dell'abbattimento del carico fiscale sui carburanti. Non credo che lo faranno».
Draghi ha promesso di ridurre al 5% l'Iva sulle utenze del gas.
«Ci sono anche altri combustibili. E ricordo che l'Iva al 5% è quella sul basilico, la salvia e il rosmarino. La portino almeno al 4%, che è l'aliquota basica».
A lei non sembra che lo shock abbia fatto fare un bagno di realismo ai leader europei?
«La televisione ha trasmesso scene da Falò delle vanità, seguite al termine da un incredibile "bla bla bla". In tempo di guerra e di tragedia il fasto di Versailles è stato un gravissimo errore. In ogni caso bene ha fatto il primo ministro italiano ad annunciare alla stampa di aver avuto un "lungo colloquio" col presidente francese Macron. Il quale, però, ha riservato un atteggiamento ben diverso al cancelliere tedesco Scholz, dando l'impressione che il trattato dell'Eliseo, tra Francia e Germania, sia ancora quello basico, fondante dell'Europa, mentre il trattato del Quirinale, tra Italia e Francia, deve ancora essere accatastato. A parte queste scene, comunque, gli argomenti di cui i leader europei stanno discutendo sono quelli giusti: l'energia e la difesa».
Ci sono volute una pandemia e una guerra.
«Ed è curioso, perché l'Europa iniziò proprio con l'energia, con la Ceca, l'Euratom e il Cern, e con l'ipotesi della Comunità europea di difesa. Nel 2003, durante il semestre italiano di presidenza, proposi gli Eurobond per finanziare infrastrutture ed industria militare europea. Tutti dissero no a priori e il cancelliere dello scacchiere, Gordon Brown, rispose: "Nice, ma questo è nation building. No, grazie". Ora è tutto da vedere se si arriverà alla creazione di una difesa europea, ma io sono assolutamente favorevole. Lo ripeto da anni: se entri in un bar e proponi più Europa per un'unione bancaria, non la prendono bene; se dici che serve più Europa per difenderci, ti pagano da bere».