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Pesca, la Russia che ammazza l'Italia: la flotta rinuncia al 50% del pescato, quanti rischiano il posto

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Attilio Barbieri
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Se molti agricoltori e altrettanti allevatori stanno lavorando in perdita, con la prospettiva di chiudere bottega nel giro di pochi mesi, non va meglio ai pescatori. Con il caro petrolio spinto dall'invasione dell'Ucraina da parte della Russia il prezzo medio del gasolio per la pesca è cresciuto del 90% rispetto allo scorso anno. E nel giro di pochi giorni si dovrebbe arrivare al raddoppio, vista la nuova fiammata del barile sui mercati internazionali. Così, secondo una analisi Coldiretti Impresapesca, i pescherecci italiani sono costretti a navigare in perdita o a tagliare le uscite, finendo alla fine per favorire le importazioni di pesce straniero. Oltre la metà dei costi che le aziende ittiche devono sostenere è rappresentata proprio dal carburante. Con gli attuali ricavi la maggior parte delle 12mila imprese non riesce a coprire nemmeno i costi per il gasolio, senza contare le altre voci che gli armatori devono sostenere per la normale attività.

 

 

 

Per l'effetto combinato della riduzione all'attività di pesca scattata dal 1° gennaio 2022 per un corposo segmento produttivo della flotta nazionale a causa delle nuove disposizioni della Ue e del Consiglio generale della pesca nel mediterraneo cui si sono aggiunti i blocchi volontari legati proprio al caro-gasolio, le uscite in mare si sono ridotte a poco più di 120 giorni o 130 giorni in base alle dimensioni delle imbarcazioni. Un terzo delle giornale annue. Ma così la nostra flotta da pesca rischia di essere costretta a rinunciare a quasi il 50% del valore del pescato made in Italy in zone strategiche come l'Adriatico, il Tirreno e il Canale di Sicilia. Con la prospettiva di perdere il posto per la metà dei 28mila lavoratori del settore.

 

 

 

All'inizio della pandemia il gasolio costava 30 centesimi al litro. Nel giro di due anni è arrivato a 1,10 centesimi. Praticamente triplicato. Per i pescherecci più grandi un giorno di navigazione costa oggi 2.500 euro solo di carburante, rispetto ai 1.000 euro del marzo 2020. Questa differenza azzera del tutto il margine. E su ogni chilogrammo di pesce azzurro venduto al rientro in porto c'è chi ci sta rimettendo fino a 20 centesimi. Gli effetti di questa situazione si sono già manifestati in tutta la loro gravità. Nei primi undici mesi del 2021 le importazioni in valore di pesce sono già cresciute del 25% in valore, sempre secondo un'analisi Coldiretti su dati Istat. Così la stragrande maggioranza delle aziende ittiche italiane ha dichiarato il fermo volontario di una settimana, nel tentativo di sensibilizzare il governo sull'urgenza di un intervento a sostegno dell'intero settore. 

 

 

 

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