Bollette, i rincari di gas ed energia elettrica rischiano di bloccare le imprese italiane. L'analisi dell'imprenditore Andrea Pasini
Bollette passate da 3.000 euro a 12.000. Non è fantascienza, sono i racconti degli imprenditori italiani che, negli ultimi mesi, si sono trovati a gestire costi sempre più elevati per luce e gas. Una situazione preoccupante che impedisce alle nostre aziende di competere ad armi pari con il mercato internazionale. Dopo due anni di pandemia, le imprese si trovano a dover gestire bollette elettriche superiori rispetto ai loro competitor come Francia e Germania. Rincari del 35% che stanno portando alcuni imprenditori ad affermare che è meglio smettere di produrre che andare avanti con questi costi.
Rischiamo di perdere l’opportunità unica di una ripresa e tutto questo perché la politica ha sottovalutato il problema dei rincari. L’impennata dei prezzi dell’energia, del gas e delle materie è anche colpa di una politica miope che coinvolge gli ultimi governi. Perché il nostro Paese non ha fonti energetiche autonome ed è costretta ad acquistare all’estero? Perché l’ideologia ci impedisce di valutare in maniera seria il nucleare, mentre altri paesi dell’Unione Europea stanno aprendo nuove centrali? L’Italia è, in Europa, tra le realtà più esposte al rincaro del gas naturale che rappresenta il 42% della nostra energia. Il mix energetico in Italia nel 2020 è molto più alto rispetto al Regno Unito (38%), alla Germania (26%), alla Spagna (23%) e alla Francia (17%). Quest’ultima registra una percentuale così bassa facendo affidamento proprio sull’energia nucleare.
Così, anche se il rincaro nelle commodity appare comune a tutte le economie occidentali, è anche vero che sono emersi profondi divari nella dinamica dei prezzi al consumo nelle diverse economie.
Tornando al nostro Paese, si prevede che i costi energetici per le imprese industriali raggiungeranno i 37 miliardi nel 2022, contro gli otto del 2019. Questo spropositato aumento nei costi si traduce in una brusca compressione dei margini operativi sia per i settori che producono beni di consumo sia per quelli energivori come cemento e ceramica, metallurgia, legno e carta.
Questa dinamica è responsabile in larga parte dell’aumento dell’inflazione che nel 2020 registrava un calo del meno 12,7%. Cosa fare allora per invertire questo pericoloso trend?
Appare fondamentale un intervento immediato sulle componenti fiscali e parafiscali della bolletta elettrica e del gas naturale, aumentando il livello di esenzione per i settori della manifattura, in particolare i comparti energivori a rischio delocalizzazione. Si potrebbe anche prevedere una misura, sull’esempio di quanto fatto in Francia, che promuova azioni di contenimento della percentuale di aumento delle tariffe o che, come in Germania, preveda forti agevolazioni fiscali.
In secondo luogo è importante e qui possono venirci in aiuto i soldi del Pnrr aumentare la produzione nazionale di gas naturale e riequilibrare, sul piano geopolitico, la struttura di approvvigionamento del Paese.
È inoltre importante che si promuova una riforma del mercato elettrico. Utilizzare le riserve non pienamente sfruttate presenti nel nostro Paese non rappresenta solo una opportunità di lavoro per l’indotto del settore, l’abbassamento del costo dell’energia e la crescita della sicurezza energetica nazionale ma significa anche ridurre le emissioni.