Cerca
Cerca
+

Pensioni, nuovo allarme conti. L'analisi dell'imprenditore Andrea Pasini

  • a
  • a
  • a

In pensione a 71 anni. È questo che ci aspetta nel futuro secondo l’Ocse. Le troppe deroghe pensionistiche alla legge Fornero e il perdurare della pandemia si sono rivelate una miscela esplosiva che sta mettono a dura prova il nostro Paese. 

Il rapporto “Pensions at a Glance 2021” illustra come in Italia, l’attuale età d’uscita dal lavoro sia particolarmente bassa, 61,8 anni. Un dato che risulta sotto la media Ocse di 63,1 anni e che favorisce la corsa alla spesa pensionistica che si assesta al 15,4% del Pil nel 2019, tra le più alte dell’area. L'Inps si prepara a chiudere l'esercizio 2021 con un risultato negativo di 20,2 miliardi e lo stesso Tridico ha fatto notare come dall'analisi dei bilanci, sulla base di ipotesi condivise con il ministero dell'Economia, emerga che partendo da un avanzo di 12,5 miliardi nel 2020 si arriva a un patrimonio netto negativo di oltre 90 miliardi di euro nel 2029.

Io sono Andrea Pasini un imprenditore di Trezzano Sul Naviglio e credo che tutti questi dati rappresentino uno scenario realmente preoccupante, soprattutto quando si prende in esame la sostenibilità di quella spesa in rapporto al numero di persone in età da lavoro che con i loro contributi finanziano le pensioni. L’Ocse ha dichiarato: «L’invecchiamento della popolazione sarà rapido e nel 2050 ci saranno 74 persone di età pari o superiore a 65 anni ogni 100 persone di età compresa tra i 20 e i 64 anni, il che equivale a uno dei rapporti più alti dell’Ocse. Negli ultimi 20 anni, la crescita dell’occupazione, anche attraverso carriere più lunghe, ha compensato più della metà della pressione dell’invecchiamento demografico sulla spesa pensionistica in Italia. Ciononostante, quest’ultima è aumentata del 2,2% del Pil tra il 2000 e il 2017. Per l’Italia l’incremento dell’occupazione continua a rivestire un’importanza cruciale, in particolare nelle fasce di età più avanzata».

Il motivo principale di questa situazione si ritiene da attribuire alle troppe deroghe introdotte negli ultimi anni per favorire i pensionamenti anticipati. Quota 100, prima di tutti, «ha facilitato l’accesso ai diritti pensionistici, poiché in precedenza il pensionamento anticipato era subordinato al requisito di contribuzioni record di 42,8 anni per gli uomini e di 41,8 anni per le donne». 

Dal prossimo anno, verrà inoltre implementata Quota 102 per effetto della legge di bilancio varata dal governo Draghi. In merito l’Ocse si è pronunciata sottolineando come «oltre all’Italia, solo la Spagna permette di accedere ai pieni diritti pensionistici prima dell’età pensionabile legale con meno di 40 anni di contributi, con il Belgio che richiede 42 anni, la Francia 41,5 anni e la Germania 45 anni». 

Ma i sindacati, e anche alcuni partiti della maggioranza, non sono affatto convinti che questo sia il problema. Cgil e Uil hanno rimarcato la mancanza di risposte del governo sulle pensioni e il fatto che il tavolo sugli interventi da adottare per il “dopo Quota 102” non è stato ancora convocato. Inoltre, Cgil, Uil e anche Cisl continuano a sottolineare una marcata flessibilità in uscita a partire già dai 62 anni d’età.

Gli squilibri del sistema pensionistico sono evidenti. Secondo Tridico diverse sono le cause, a partire dalla dinamica demografica con un aumento sproporzionato della popolazione anziana e l'assottigliamento della fascia d'età compresa tra gli 0 e i 29 anni: dal 51,6% nel 1951 al 28,5% nel 2019. Ma un peso non trascurabile l'hanno anche l'elevato livello di spesa pensionistica, dovuta soprattutto a regole d'accesso e di calcolo in passato più generose, la bassa crescita, con conseguente riduzione delle entrate contributive, e i problemi legati all’occupazione.

Delicata è anche la gestione Inps di dipendenti pubblici e autonomi. I primi si trovano alla prese con un disavanzo strutturale che è solo destinato a peggiorare nei prossimi anni, causato in prevalenza dalla contrazione del numero degli iscritti. Per i lavoratori autonomi invece si patisce una continua decrescita del numero degli assicurati e un aumento della valutazione dei crediti non esigibili. 

La ricetta contro il disastro? Più lavoro. A parere di Tridico sarebbe possibile invertire la rotta solo con un'impennata dell'occupazione di almeno il 4% nei prossimi anni per tutto il pubblico impiego.

 

Dai blog