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Telecom, aria di Opa americana: le mosse di Kkr anti-Vivendi

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Tobia De Stefano
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Sono trascorsi dieci giorni dalle prime indiscrezioni che riportavano un forte interesse del fondo americano Kkr per rilevare la nostra Tim. E dopo il passaggio apparentemente interlocutorio del consiglio di amministrazione convocato con urgenza da Vivendi (primo socio di Telecom), quelle stesse voci, se possibile, si sono intensificate. Partono da Londra e corrono fino ai Palazzi romani, dai quali- essendo coinvolta la Cdp e un'infrastruttura fondamentale come la rete - devono arrivare diversi via libera. Il presupposto è che un po' tutti gli attori in causa hanno interesse ad uscire dall'impasse che si è venuta a creare. Se si escludono le fiammate dovute alle voci di cui sopra, con una piazza Affari che macina record su record, Telecom ha perso il 20% negli ultimi sei mesi, i progetti sull'infrastruttura che avrebbero dovuto coinvolgere la rete primaria di Tim, Fibercop (la società della rete secondaria che va dagli armadietti in strada e arriva nelle case dei clienti di proprietà di Tim) e Open Fiber (cablaggio della fibra ottica, 60% Cdp e 40% fondo Macquaire) si sono arenati e anche i dati dei primi nove mesi del 2021 non hanno certo esaltato gli analisti con ricavi e margine operativo lordo in contrazione.

IL RUOLO DEL MEF
Ecco perché il Mef non ostacolerebbe un rilancio del fondo americano su tutta Telecom. L'eventuale offerta, ieri il titolo ha guadagnato l'1,29% a quota 0,338 euro anche sulle voci di una rinegoziazione dell'accordo con Dazn, avrebbe come effetto quello di liquidare Vivendi, il primo socio del colosso italiano delle telecomunicazione che oggi ha il controllo del 23,7% delle azioni. Quota che ha in carico a più di 1 euro per azione (svalutata di un miliardo nel 2018) e rispetto alla quale i francesi sono entrati nell'ordine di idee di subire una perdita. Che ovviamente Vincent Bollorè e l'ad, Arnaud de Puyfontaine, vorrebbero limitare il più possibile. Secondo le voci raccolte in ambienti finanziari, la decisione del fondo Kkr (sollecitati da Libero hanno risposto con un «No comment») di lanciare un'Opa su Tim potrebbe subire un'accelerazione e concretizzarsi entro febbraio. Prima della presentazione del piano industriale dell'ex monopolista. Un'offerta pubblica di acquisto, ovviamente non ostile, con un premio del 30% costerebbe alla società di private equity - che gestisce più di 200 miliardi di dollari- poco meno di 9 miliardi di euro. Un multiplo basso, circa 3 volte e mezzo l'Ebitda del gruppo di tlc. Una volta acquisita la maggioranza di Tim, Kkr avrebbe in pancia tutta una serie di società non essenziali rispetto al core business della telefonia che potrebbe mettere sul mercato, racimolando più di 13 miliardi di euro e abbattendo nella sostanza la zavorra storica di Tim: l'indebitamento netto monstre che a bilancio pesa per 17 miliardi e 415 milioni. Si parte da Tim Brasile (Telecom è il primo azionista con il 66,7%) che agli attuali valori di mercato le garantirebbe incassi per poco meno di 3,5 miliardi. Si passa per Inwit, torri e tralicci per le antenne, che ha un market cap (capitalizzazione) di 9,6 miliardi, per cui il 15% di Telecom vale circa 1,5 miliardi. E si arriva fino a Fibercop, Noovle e ovviamente alla rete primaria. La cessione della quota rimanente in Fibercop frutterebbe 2,7 miliardi, lo dice il mercato e il prezzo pagato proprio da Kkr che lo scorso anno ha acquistato il 37% della società per 1,8 miliardi. Non solo. La vendita della maxi-quota avrebbe anche il valore aggiunto di deconsolidare una bella fetta del debito di Tim. Nella sostanza 3,1 miliardi di euro uscirebbero dal perimetro della controllante e farebbero scendere il rosso dell'incumbent da 17 a 14 miliardi.

LE PROSPETTIVE DEL CLOUD
Discorso a parte va fatto invece per Noovle (il cloud) che dal punto di vista del prospettive (stando alle parole dell'ad Gubitosi) rappresenta uno dei valori aggiunti del colosso delle tlc. E per questo è anche il più profittevole. Oggi ha un Ebitda di 200 milioni e stando a quanto scritto dall'amministratore delegato nell'ultimo piano dovrebbe salire fino a 400 milioni e raggiungere un valore pari a 15 volte il margine operativo lordo. Insomma, volendo stare bassi, potrebbe essere ceduta a non meno 4 miliardi (10 volte l'Ebitda). Infine la rete primaria. L'unico asset rispetto al quale non esiste un vero e proprio valore di mercato. La società che detiene l'infrastruttura fa registrare un margine operativo di circa 200 milioni, per cui restando sui multipli usati sopra, potrebbe essere ceduta a poco meno di due miliardi. Basta fare due conti e vedere che il colosso finanziario Usa che ha tra i suoi principali analisti David Petreus, ex direttore della Cia e leggendario generale dei Marines, grazie a queste operazioni potrebbe assicurarsi una Tim finalmente ripulita dai debiti e pronta a tuffarsi negli investimenti necessari per rafforzare il business della telefonia. Mentre - eliminato il tappo rappresentato da Vivendi - lo Stato sarebbe libero di portare avanti i suoi progetti sulla rete. Che non siano questi i ragionamenti che stanno facendo Kkr e il governo? 

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